Come si osserva un
quadro? Come si osservano una scultura, un disegno?
Per rispondere a queste domande non basta
esaminare le qualità del quadro, della scultura, del disegno, come si è fatto
fino ad oggi. Occorre un’analisi più profonda, un nuovo sistema per comprendere
l’arte. Tutti, guardando un’opera antica o moderna, ci sentiamo in diritto di
dare un immediato giudizio estetico. Ma fino a che punto non siamo turbati da
pregiudizi, da frasi fatte, da una cattiva messa a fuoco dell’occhio? Anche i più
grandi artisti del passato - lo testimoniano le fonti - non sempre sono stati
apprezzati. Il fatto è che l’opera d’arte, pur essendo sempre la stessa, è
guardata nelle varie epoche in modo diverso, da angoli visuali diversi: perché
il gusto del pubblico muta col mutare del costume. Da qui la necessità di
considerare non soltanto le qualità di un quadro o di una statua, e quindi la
personalità dell’artista, ma anche la psicologia di chi guarda: la formazione
del pubblico.
Come
acquisire l’occhio critico? Non esistono binari, o precise norme da seguire
alla lettera. Si tratta sempre di un colloquio complesso: che richiede intuito, superamento di ogni
preconcetto, opportuna messa a fuoco
dell’occhio, spostando gli angoli visuali per trovare quello più adatto.
Richiede conoscenza storica dell’ambiente e della cultura in cui l’artista e la
singola opera si sono sviluppati, ma anche assuefazione dell’occhio alla
visibilità pittorica e plastica: e quindi al ritmo concreto, ai cosiddetti valori, cioè ai mezzi dell’espressione –
quali la linea, il colore, il tono, il timbro, le masse, il lume, le superfici
– e ai concetti, quando necessitino, di misura, di proporzione, o addirittura
di contaminazione tra vita e arte. Un processo, come si vede, non facile, anche
se aperto a tutti: e che si risolve, alla fine, nella intensità di uno sguardo.
Ma per giungere alla intensità di questo sguardo, occorre una precedente
preparazione, con diretta, illuminante esperienza visiva. E’ necessario dunque,
prima di giudicare le opere, fare un processo a noi stessi, al nostro occhio,
al nostro metodo: processare chi giudica. Il piano in cui si trova l’occhio
veramente critico è infatti diverso dal piano dell’Occhio comune. Possiamo anzi
raffigurare simbolicamente il colloquio del pubblico con l’opera d’arte come
una spirale o scala a chiocciola. Nella scala a chiocciola, al cui centro
starebbe l’opera d’arte, gli spettatori sono su piani diversi, e non guardano
dallo stesso punto di vista. Credono però di essere tutti uguali: invece i loro
giudizi risultano necessariamente discordanti. Per questo, quando stanno su piani diversi, gli
spettatori tra loro non possono intendersi: non comunicano. Dicono cose
differenti, credendo di parlare della stessa cosa. Da qui le inutili, interminabili
discussioni.
L’Occhio diventa critico quando sa spostare
gli angoli visuali per illuminare l’opera d’arte nell’ambiente storico,
culturale, sociale dell’epoca in cui sorge: in relazione a tutta l’attività
dell’artista, della sua originale personalità, o della civiltà che rispecchia,
quando se ne hanno notizie. Il giudizio critico diventa così conoscenza totale
e può penetrare nella particolare concretezza dell’opera attraverso l’esame
tecnico e stilistico dei mezzi visivi. La vera critica d’arte è dunque
conquista: a cui tutti, con intelligenza, possono giungere, ma non
immediatamente, affidandosi solo alle distinzioni di piacevolezza, di
verosimiglianza, o ad altre superficiali impressioni. Non inganni
l’universalità dell’arte: sembra fuori del tempo ed è, in certo modo, assoluta,
ma le sue radici sono sempre particolari, nel clima delle varie epoche, civiltà
e concrete personalità dei singoli artisti.
Tratto da: Guido
Ballo, Occhio Critico; Longanesi
-1973.
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