martedì 1 gennaio 2013

L'OCCHIO CRITICO

Come si osserva un quadro? Come si osservano una scultura, un disegno?

Per  rispondere a queste domande non basta esaminare le qualità del quadro, della scultura, del disegno, come si è fatto fino ad oggi. Occorre un’analisi più profonda, un nuovo sistema per comprendere l’arte. Tutti, guardando un’opera antica o moderna, ci sentiamo in diritto di dare un immediato giudizio estetico. Ma fino a che punto non siamo turbati da pregiudizi, da frasi fatte, da una cattiva messa a fuoco dell’occhio? Anche i più grandi artisti del passato - lo testimoniano le fonti - non sempre sono stati apprezzati. Il fatto è che l’opera d’arte, pur essendo sempre la stessa, è guardata nelle varie epoche in modo diverso, da angoli visuali diversi: perché il gusto del pubblico muta col mutare del costume. Da qui la necessità di considerare non soltanto le qualità di un quadro o di una statua, e quindi la personalità dell’artista, ma anche la psicologia di chi guarda: la formazione del pubblico.
Come acquisire l’occhio critico? Non esistono binari, o precise norme da seguire alla lettera. Si tratta sempre di un colloquio complesso:  che richiede intuito, superamento di ogni preconcetto, opportuna  messa a fuoco dell’occhio, spostando gli angoli visuali per trovare quello più adatto. Richiede conoscenza storica dell’ambiente e della cultura in cui l’artista e la singola opera si sono sviluppati, ma anche assuefazione dell’occhio alla visibilità pittorica e plastica: e quindi al ritmo concreto, ai cosiddetti valori, cioè ai mezzi dell’espressione – quali la linea, il colore, il tono, il timbro, le masse, il lume, le superfici – e ai concetti, quando necessitino, di misura, di proporzione, o addirittura di contaminazione tra vita e arte. Un processo, come si vede, non facile, anche se aperto a tutti: e che si risolve, alla fine, nella intensità di uno sguardo. Ma per giungere alla intensità di questo sguardo, occorre una precedente preparazione, con diretta, illuminante esperienza visiva. E’ necessario dunque, prima di giudicare le opere, fare un processo a noi stessi, al nostro occhio, al nostro metodo: processare chi giudica. Il piano in cui si trova l’occhio veramente critico è infatti diverso dal piano dell’Occhio comune. Possiamo anzi raffigurare simbolicamente il colloquio del pubblico con l’opera d’arte come una spirale o scala a chiocciola. Nella scala a chiocciola, al cui centro starebbe l’opera d’arte, gli spettatori sono su piani diversi, e non guardano dallo stesso punto di vista. Credono però di essere tutti uguali: invece i loro giudizi risultano necessariamente discordanti. Per  questo, quando stanno su piani diversi, gli spettatori tra loro non possono intendersi: non comunicano. Dicono cose differenti, credendo di parlare della stessa cosa. Da qui le inutili, interminabili discussioni.
L’Occhio diventa critico quando sa spostare gli angoli visuali per illuminare l’opera d’arte nell’ambiente storico, culturale, sociale dell’epoca in cui sorge: in relazione a tutta l’attività dell’artista, della sua originale personalità, o della civiltà che rispecchia, quando se ne hanno notizie. Il giudizio critico diventa così conoscenza totale e può penetrare nella particolare concretezza dell’opera attraverso l’esame tecnico e stilistico dei mezzi visivi. La vera critica d’arte è dunque conquista: a cui tutti, con intelligenza, possono giungere, ma non immediatamente, affidandosi solo alle distinzioni di piacevolezza, di verosimiglianza, o ad altre superficiali impressioni. Non inganni l’universalità dell’arte: sembra fuori del tempo ed è, in certo modo, assoluta, ma le sue radici sono sempre particolari, nel clima delle varie epoche, civiltà e concrete personalità dei singoli artisti.
Tratto da: Guido Ballo, Occhio Critico; Longanesi -1973.  

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