lunedì 14 gennaio 2013

Angela Serafino. Il paesaggio – la luce della poesia





(…) Siate l’azzurro diviso e indiviso
dei succhi immemorabili viventi
nella rugiada arborea dei venti
e nella castità elementare
dell’universo tutto orlato e intriso
di flore d’astri e di zolle di mare…

Girolamo Comi, dal Cantico del Tempo e del Seme

I paesaggi, scrivono i poeti, si posano nelle zolle e nell’albero, nel mare e nei dadi delle facciate delle case, nelle lune, nei cieli, nell’erbe…Poi continuano nelle carni e diventano l’ossame dell’esistere attraverso l’ostinata qualità della luce che è come

Franta in smeraldi o condensata in raggi
di radiose carni di paesaggi
in te contempli la tua fiamma agire
nell’inno sommo d’ogni mezzogiorno
che testimonia ed intona il ritorno
di un soprannaturale divenire:
e le durate sempre inviolate
del tuo immobile moto tutto cieli
gremiscono di gioventù alate
il seme della terra ed i suoi steli.

***

Fra noi l’avvento dei tuoi eterei apici
si riproduce nel cuore dei calici
delle Mattine e delle Notti , o sboccia
nella verginità della Parola
che nata nel silenzio della gola
si risolve e s’espande in preghiera dirotta…
(dal Cantico della Luce)

Si rincontrano i paesaggi fuori dalle cornici: negli oggetti, nelle stagioni che voltano le pagine della luce, nei volti; s’incontrano i paesaggi nella lingua.
Questa mostra, Il paesaggio – la luce della poesia, raccoglie l’esperienza dei riflessi che si generano dai colori, raccoglie l’esperienza dei riflessi che si generano dalle parole.
A volte complici della stessa forza poietica, colori e parole, danno forma a spazi contigui. Il paesaggio è questo grande spazio semantico che implode ed esplode di sensi dai quali i linguaggi attingono e si contaminano, si interfacciano, si contemplano…
Nella ricerca dei modelli da esporre a testimonianza della nostra non semplicistica né immediata riconducibilità culturale del territorio, l’Arte, in tutte le sue espansioni di codici, credo abbia la grande possibilità, nonché la capacità di rendere percepibili gli strati, i legami, i connubi e le elaborazioni che partono dallo stesso scenario esistenziale – natura. La natura, questo punto d’incontro e di fuga della terra e del mare, del riverbero del cielo nell’acqua, è il punto d’incontro e di fuga della nostra tradizione che diventa ossatura sulla quale comporre le variazioni, nella libertà di non produrre cataloghi di identità ma dialoghi aperti nel paesaggio che muta.
I poeti si soffermano a soffiare l’incanto della luce del paesaggio non ritagliabile nello scorcio ameno della sola veduta ma, come luogo portante (ossatura) dell’intera coesione di forze e monotonie, che diviene misura e numero, rigore e malinconia, ottuso vuoto e violento trapasso del sole. La luce dà forma al paesaggio come Una ripetizione alta e solenne/di generazioni d’ore eterne/(che) imprime dentro l’entità che siamo,/la vibrazione d’un caldo richiamo/restaurando le segrete gemme/del nostro tronco e del suo primo germe. (dal Cantico della Luce)

La ripetizione solenne crea le raccolte del poeta e le raccolte del pittore, entrambe si sostanziano e si nutrono della stessa materia – luce - . All’interno del percorso della mostra la luce, è disseminata attraverso le opere, come frammenti di questo immenso e insostituibile patrimonio materialeimpalpabile, che tiene e frangia i nostri luoghi e attraversa e costruisce i pensieri.
Per quanto concerne la poesia, la scelta di lasciare aperto lo spazio dei versi consente di non raffreddare l’intensità delle parole ma all’inverso ne comprime nello stralcio del verso la forza. La poesia in questo contesto specifico è l’ospite, con le parole di Comi i particolare e di Bodini. Parche quelle di quest’ultimo, ma di grande risonanza per la stessa ragione della sintesi di cui sopra. Il criterio della scelta dei versi è quello di creare semanticamente un riverbero, ascoltando lo spazio che resta vuoto di significato, come fossero i versi degli appunti di luce caduti come foglie.
L’altro criterio per la scelta delle opere di Cesare Piscopo è rendere all’opera stessa, intanto, la sua forza che è nella continuità dell’evocazione poetica del paesaggio, nella ripetizione degli elementi che si assottigliano sempre più in particolari nel gioco rigoroso delle correspondances. Gli strati di colore nelle diverse materie diventano metaforicamente accessi. Diventa possibile a questo punto inoltrarsi nel segreto compositivo delle opere e dei luoghi, sconfinando senza pericolo della vicinanza dei generi poietici differenti. Dall’esperienza del reale, nascono le opere le quali però diventano esse stesse esperienza. Il percorso della mostra è pensato come luogo nel quale diventano materia comune d’intesa il colore e la parola, per il tramite della luce, nel riscontro del rigore formale.

I versi di Girolamo Comi fanno parte della raccolta Spirito d’Armonia 1912-1952, Edizioni dell’”Albero”, Lucugnano, 1954. I versi di Vittorio Bodini sono tratti dall’edizione Tutte le poesie 1932-1970, a cura di Oreste Macrì, Mondadori, Milano 1983.
Le opere di Cesare Piscopo comprendono i disegni a tempera e inchiostro, i collages, gli olii, gli acrilici, opere che vanno dal 1993 al 2005. Tempo durante il quale il contatto con gli elementi del paesaggio in particolare il mare e il cielo, amplificati dalla forza della luce, non si è né interrotto né ridotto.
I disegni nella loro sintesi e immediata evocazione degli orli di tutti i paesi, dei confini tra le linee delle sostanze godute in guizzi continui di colori, sono delle possibilità di dar forma ad un luogo. Sparsi e frastagliati i colori ci sorprendono e spostano il punto d’osservazione fuori dal fuoco centrale, come le corolle che sbucano con forza dal fondo della vegetazione (guizzi continui). In questi disegni l’andamento del colore acceso e sinuoso, mantiene vivo il passo e l’impatto dell’immaginazione che raccoglie le informazioni visive per poi mettersi al lavoro senza rinunciare al guizzo. La dimensione spaziale in queste opere è aperta proprio come se si aspettasse il cenno da parte del paesaggio ad approfondire la conoscenza.
Nelle opere ad olio come Notturno a Leuca (’98), Foglie d’Autunno (’99), Mare (’98), il luogo/paesaggio è l’impasto spesso della materia colore, che quasi lievitata si scorda della visione referenziale. In questa dimenticanza si fa più intenso il dialogo tra l’artista e il paesaggio, scrive a proposito di questo Piscopo: “Il mio punto di riferimento è la natura come vista attraverso una lente che dissolve le forme, svuotando le masse e, a volte, abbattendo ogni residuo mimetico”. Quindi l’obiettivo che l’artista si propone non è la verosimiglianza ma: “l’espressione di un rapporto interiore tra me e la natura da cui scaturiscono, secondo un’ottica astratta e visionaria, immagini emblematiche cariche di associazioni e suggestioni…affido al colore la liricità dei miei sentimenti…La natura è colore; il colore crea: la forma e l’informe, la luce e l’oscurità, la profondità e la superficie, il pieno e il vuoto, l’essenza e la provvisorietà, armonie e disarmonie”. A proposito di disarmonie, nelle disarticolazioni dei collages, opere che vanno dal ’98 al 2001 circa, comincia ad affiorare la scrittura come materia visiva e il colore volge nell’impasto al bianco, come per far decantare all’interno il peso delle parole. Non importa che siano leggibili, è importante che ci siano come parole nate dal silenzio della gola. Importa che siano pronunciate nel vasto e piccolo spazio del bianco accordando il senso sul dubbio, tra il gioco del Quantidivitaistantidiversi (C. Piscopo, da Fili d’erba). In queste opere, si ri-impasta quella luce del sud, che a volte rende invisibili i legami dello spessore interno che tra gli uomini e le cose si crea. In questi collages, la presenza del bianco non è accecante ma è un contributo alla resa visiva dello scambio dal fondo alla supeficie, alla tangibilità dei segreti custoditi in una patina, che sia quella del muro o quella della mente poco importa.
Quantidivitaistantidiversi la possiamo intendere anche come una dichiarazione teorica che si concreta nelle tele del mare che portano più da vicino le sfumature delle differenti composizioni dell’acqua. I colori si dilatano e sono intrisi del movimento nei cambi dell’altezza e della profondità della visione. E’ come se si potesse fare guardando questi mari una passeggiata sulla costa.
In queste opere la luce, simbolo di una misura silenziosa, costruisce e tesse gli elementi nello slancio e nella stasi. In Mare zen (2004) non a caso l’equilibrio sembra raggiunto. Tutto sembra reggersi nel piccolo accesso del risvolto dell’onda nella parte in basso. Il movimento è attorno alla curva ma non c’è impeto né inondazione, è tutto lì il manto della luce che raccoglie i cromi più forti come il magenta e l’oltremare ma li comprime visibili in piccoli tocchi tesi a formare quel particolare grado d’intensità luminosa né fredda né calda, in moto. Queste ed altre cifre sono raccolte nel Diario emozionale (2005), un’opera estremamente sintetica, dove la luce diventa respiro sferico acceso. Il resto va letto con calma, ascoltando il riverbero. 
                                                                                           
Angela Serafino                       





                                                                                             
(Tratto dal libro Cesare Piscopo. Il paesaggio – la luce della poesia; a cura di Angela Serafino; pubblicato da Il Raggio Verde con il contributo della Provincia di Lecce, in occasione della mostra personale di pittura di Cesare Piscopo tenuta al Palazzo “Comi” di Lucugnano, dal 7 al 21 agosto 2005).


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