(…) Siate l’azzurro
diviso e indiviso
dei succhi
immemorabili viventi
nella
rugiada arborea dei venti
e nella
castità elementare
dell’universo
tutto orlato e intriso
di flore
d’astri e di zolle di mare…
Girolamo Comi, dal Cantico del Tempo e del Seme
I paesaggi, scrivono i poeti, si posano nelle zolle e
nell’albero, nel mare e nei dadi delle facciate delle case, nelle lune, nei
cieli, nell’erbe…Poi continuano nelle carni e diventano l’ossame dell’esistere attraverso l’ostinata qualità della luce che
è come
Franta
in smeraldi o condensata in raggi
di radiose
carni di paesaggi
in te
contempli la tua fiamma agire
nell’inno
sommo d’ogni mezzogiorno
che testimonia
ed intona il ritorno
di un
soprannaturale divenire:
e le
durate sempre inviolate
del
tuo immobile moto tutto cieli
gremiscono
di gioventù alate
il
seme della terra ed i suoi steli.
***
Fra
noi l’avvento dei tuoi eterei apici
si riproduce
nel cuore dei calici
delle
Mattine e delle Notti , o sboccia
nella
verginità della Parola
che nata
nel silenzio della gola
si risolve
e s’espande in preghiera dirotta…
(dal Cantico della Luce)
Si rincontrano i paesaggi fuori dalle cornici: negli oggetti, nelle stagioni
che voltano le pagine della luce, nei volti; s’incontrano i paesaggi nella
lingua.
Questa mostra, Il
paesaggio – la luce della poesia, raccoglie l’esperienza dei riflessi che
si generano dai colori, raccoglie l’esperienza dei riflessi che si generano
dalle parole.
A volte complici
della stessa forza poietica, colori e parole, danno forma a spazi contigui. Il
paesaggio è questo grande spazio semantico che implode ed esplode di sensi dai
quali i linguaggi attingono e si contaminano, si interfacciano, si contemplano…
Nella ricerca dei modelli da esporre a testimonianza della
nostra non semplicistica né immediata riconducibilità culturale del territorio,
l’Arte, in tutte le sue espansioni di codici, credo abbia la grande
possibilità, nonché la capacità di rendere percepibili gli strati, i legami, i
connubi e le elaborazioni che partono dallo stesso scenario esistenziale –
natura. La natura, questo punto d’incontro e di fuga della terra e del mare,
del riverbero del cielo nell’acqua, è il punto d’incontro e di fuga della
nostra tradizione che diventa ossatura
sulla quale comporre le variazioni, nella libertà di non produrre cataloghi di
identità ma dialoghi aperti nel paesaggio che muta.
I poeti si soffermano a soffiare l’incanto della luce del
paesaggio non ritagliabile nello scorcio ameno della sola veduta ma, come luogo
portante (ossatura) dell’intera
coesione di forze e monotonie, che diviene misura e numero, rigore e
malinconia, ottuso vuoto e violento trapasso del sole. La luce dà forma al
paesaggio come Una ripetizione alta e
solenne/di generazioni d’ore eterne/(che) imprime dentro l’entità che siamo,/la
vibrazione d’un caldo richiamo/restaurando le segrete gemme/del nostro tronco e
del suo primo germe. (dal Cantico
della Luce)
La ripetizione solenne crea le raccolte del poeta e le
raccolte del pittore, entrambe si sostanziano e si nutrono della stessa materia
– luce - . All’interno del percorso della mostra la luce, è disseminata
attraverso le opere, come frammenti di questo immenso e insostituibile
patrimonio materialeimpalpabile, che
tiene e frangia i nostri luoghi e attraversa e costruisce i pensieri.
Per quanto concerne la poesia, la scelta di lasciare
aperto lo spazio dei versi consente di non raffreddare l’intensità delle parole
ma all’inverso ne comprime nello stralcio del verso la forza. La poesia in
questo contesto specifico è l’ospite, con le parole di Comi i particolare e di
Bodini. Parche quelle di quest’ultimo, ma di grande risonanza per la stessa
ragione della sintesi di cui sopra. Il criterio della scelta dei versi è quello
di creare semanticamente un riverbero, ascoltando lo spazio che resta vuoto di
significato, come fossero i versi degli appunti di luce caduti come foglie.
L’altro criterio per la scelta delle opere di Cesare
Piscopo è rendere all’opera stessa, intanto, la sua forza che è nella
continuità dell’evocazione poetica del paesaggio, nella ripetizione degli
elementi che si assottigliano sempre più in particolari nel gioco rigoroso
delle correspondances. Gli strati di
colore nelle diverse materie diventano metaforicamente accessi. Diventa possibile a questo punto inoltrarsi nel segreto
compositivo delle opere e dei luoghi, sconfinando senza pericolo della
vicinanza dei generi poietici differenti. Dall’esperienza del reale, nascono le
opere le quali però diventano esse stesse esperienza.
Il percorso della mostra è pensato come luogo nel quale diventano materia
comune d’intesa il colore e la parola, per il tramite della luce, nel riscontro
del rigore formale.
I versi di Girolamo Comi fanno parte della raccolta Spirito d’Armonia 1912-1952, Edizioni
dell’”Albero”, Lucugnano, 1954. I versi di Vittorio Bodini sono tratti dall’edizione
Tutte le poesie 1932-1970, a cura di
Oreste Macrì, Mondadori, Milano 1983.
Le opere di Cesare Piscopo comprendono i disegni a
tempera e inchiostro, i collages, gli olii, gli acrilici, opere che vanno dal
1993 al 2005. Tempo durante il quale il contatto con gli elementi del paesaggio
in particolare il mare e il cielo, amplificati dalla forza della luce, non si è
né interrotto né ridotto.
I disegni nella loro sintesi e immediata evocazione degli
orli di tutti i paesi, dei confini
tra le linee delle sostanze godute in
guizzi continui di colori, sono delle possibilità di dar forma ad un luogo.
Sparsi e frastagliati i colori ci sorprendono e spostano il punto d’osservazione
fuori dal fuoco centrale, come le corolle che sbucano con forza dal fondo della
vegetazione (guizzi continui). In questi disegni l’andamento del colore acceso
e sinuoso, mantiene vivo il passo e l’impatto dell’immaginazione che raccoglie
le informazioni visive per poi mettersi al lavoro senza rinunciare al guizzo.
La dimensione spaziale in queste opere è aperta proprio come se si aspettasse
il cenno da parte del paesaggio ad approfondire la conoscenza.
Nelle opere ad olio come Notturno a Leuca (’98), Foglie
d’Autunno (’99), Mare (’98), il
luogo/paesaggio è l’impasto spesso della materia colore, che quasi lievitata si
scorda della visione referenziale. In questa dimenticanza si fa più intenso il
dialogo tra l’artista e il paesaggio, scrive a proposito di questo Piscopo: “Il
mio punto di riferimento è la natura come vista attraverso una lente che
dissolve le forme, svuotando le masse e, a volte, abbattendo ogni residuo
mimetico”. Quindi l’obiettivo che l’artista si propone non è la verosimiglianza
ma: “l’espressione di un rapporto interiore tra me e la natura da cui
scaturiscono, secondo un’ottica astratta e visionaria, immagini emblematiche
cariche di associazioni e suggestioni…affido al colore la liricità dei miei
sentimenti…La natura è colore; il colore crea: la forma e l’informe, la luce e
l’oscurità, la profondità e la superficie, il pieno e il vuoto, l’essenza e la
provvisorietà, armonie e disarmonie”. A proposito di disarmonie, nelle
disarticolazioni dei collages, opere che vanno dal ’98 al 2001 circa, comincia
ad affiorare la scrittura come materia visiva e il colore volge nell’impasto al
bianco, come per far decantare all’interno il peso delle parole. Non importa
che siano leggibili, è importante che ci siano come parole nate dal silenzio della gola. Importa che siano
pronunciate nel vasto e piccolo spazio del bianco accordando il senso sul
dubbio, tra il gioco del Quantidivitaistantidiversi
(C. Piscopo, da Fili d’erba). In queste opere, si ri-impasta quella luce del sud, che a volte rende
invisibili i legami dello spessore interno che tra gli uomini e le cose si
crea. In questi collages, la presenza del bianco non è accecante ma è un
contributo alla resa visiva dello scambio dal fondo alla supeficie, alla
tangibilità dei segreti custoditi in una patina, che sia quella del muro o
quella della mente poco importa.
Quantidivitaistantidiversi la
possiamo intendere anche come una dichiarazione teorica che si concreta nelle
tele del mare che portano più da vicino le sfumature delle differenti
composizioni dell’acqua. I colori si dilatano e sono intrisi del movimento nei
cambi dell’altezza e della profondità della visione. E’ come se si potesse fare
guardando questi mari una passeggiata
sulla costa.
In queste opere la luce, simbolo di una misura silenziosa,
costruisce e tesse gli elementi nello slancio e nella stasi. In Mare zen (2004) non a caso l’equilibrio
sembra raggiunto. Tutto sembra reggersi nel piccolo accesso del risvolto dell’onda
nella parte in basso. Il movimento è attorno alla curva ma non c’è impeto né inondazione,
è tutto lì il manto della luce che raccoglie i cromi più forti come il magenta
e l’oltremare ma li comprime visibili in piccoli tocchi tesi a formare quel
particolare grado d’intensità luminosa né fredda né calda, in moto. Queste ed
altre cifre sono raccolte nel Diario
emozionale (2005), un’opera estremamente sintetica, dove la luce diventa respiro sferico acceso. Il resto va
letto con calma, ascoltando il riverbero.
Angela Serafino
Angela Serafino
(Tratto dal libro Cesare Piscopo. Il paesaggio – la luce della poesia; a cura di Angela Serafino; pubblicato da Il Raggio Verde con il contributo della Provincia di Lecce, in occasione della mostra personale di pittura di Cesare Piscopo tenuta al Palazzo “Comi” di Lucugnano, dal 7 al 21 agosto 2005).
Tutti i diritti riservati
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