Se dovessi dare un titolo a questa rassegna
d’immagini pittoriche sulle acque del mare dipinte da Cesare Piscopo, userei un
particolare calligramma: …eram-mare…, come una sorta di figura
speculare, il “palìndromo”: un andirivieni ciclico che mi avvolge in quello
che ero (preistorico essere marino), e poi mi abbandona sulla riva
lasciandomi sempre il suo ‘qualcosa’ di mare…Sentirsi flutto,
tuffarvisi dentro, essere preso fisicamente dai cavalloni, divenire natante,
nuotare tra quelle spume, gli spruzzi, i vapori, cristalli perlacei,
farsi portare dagli sciabordii sulle risacche, rituffarsi, risalire,
naufragare, respirare, leccarsi le labbra…tutte queste percezioni fanno parte
dell’incessante ciclo delle maree, ma anche dell’esistenza. Ho capito, entrando
in questi dipinti, quanto abbia senso quella saggezza antica secondo cui si
capisce qualcosa in quanto si ha in sé degli elementi identici di quella cosa:
capisco quei flutti e quei mari perché sono e so ritornare ad essere flutto e
mare e acqua e schiuma… E questo percorso è reso possibile, al di là del suo
gioco speculare (eram-mare), per quel fortunato bisticcio dei sensi che
ti provoca guardando intensamente la mareggiata di Cesare: con gli occhi puoi
toccare quei flutti entrando negli interstizi delle pennellate, con le orecchie
puoi sentire la voce di queste acque, la pelle ti si bagna e avverti l’odore
della salsedine… S’instaura una reciproca simpatia, un non so che di
complicità con tutte queste acquità, tanto che a un certo punto diventa
facile provocare un gioco: potrebbe essere il gioco dell’eco (amare… …mare),
o dello specchio (mare…eram), oppure quello del metaplasma (acqua…
pietra, roccia…onda)…, perché ogni sua pennellata è un passaggio, una
metamorfosi, un passo del ciclo esistenziale. Già, il “metaplasma”, lo “scambio
degli elementi” materici, o dei suoni, o delle identità, o delle topografie:
come se noi, ancora per gioco, portassimo le marine, le onde e tutta la gamma
delle acquosità dipinte da Piscopo mentre guarda il mare, sopra uno
sperone roccioso, poniamo sul Monte Titano a San Marino. Dunque, potremmo
avvertire una sorta di stridore armonioso nello scambio plastico: mentre
i flutti acquosi del mare di Piscopo aspirano ad impennarsi bloccandosi come
onde pietrificate, l’onda tellurica, gigantesca, del Monte Titano s’innalza,
roccia stupefatta, nel vuoto da milioni d’anni, sempre lì sospesa e protesa a
farsi mare. Ma ora, se dovessi dare un nome alle immagini del mare
dipinte da Cesare Piscopo, ora non saprei più inventarlo. Oppure lo troverei
uscendo da un certo disagio e riproponendo il suo ciclo: allora potrebbe non
essere più una qualche parola ma, come un gioco di specchi, un’ennesima sua
marea che racconti il mare.
Cesare Padovani - Introduzione alla
mostra di Cesare Piscopo Calligrammi per
un naufragio. San Marino, 2007
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