martedì 29 gennaio 2013

Due lettere di Vittoria Corti a Cesare Piscopo




Firenze, 26 luglio 1999

Caro Cesare Piscopo,
i suoi lavori mi hanno lasciato una impressione ultra–positiva, superiore ad ogni aspettativa. Io credo che l’opera d’arte autentica deve essere ricca di contenuti e in grado di svegliare emozioni in chi la vede, anche se è passato tanto tempo da quando fu fatta. Oggi si chiama espressionistica una simile tendenza, ma la vera arte ha sempre e dovunque avuto questa forza. Mi farà un piacere se potrà mandarmi qualche immagine di suoi lavori (magari qualche vecchio catalogo che abbia qualche riproduzione). Le mando (a parte) due testi in cui mi occupo fugacemente di due artisti “forti” del nostro secolo.
Saluti cordiali, anche a sua moglie, che m’è sembrata dotata della sensibilità e della intelligenza  adatta alla compagna di un artista.

Vittoria Corti                       



Firenze, 14 agosto 1999

Grazie, caro Piscopo, del quadro che tengo molto caro e, che non ho ancora finito di leggere, dei testi che mi ha mandato. M’interessa tutto di quel che ha fatto e di quel che la riguarda, tutto serve per entrare meglio nel suo mondo. I suoi versi son collegati con la sua pittura. Perché non prova ad accompagnare un dipinto con una specie di diario (in prosa, perché la prosa ha meno scappatoie) che contenesse tutta la cronaca del lavoro, dalla prima idea, passo passo fino alla fine, con gli umori e le idee che lo hanno accompagnato? Forse potrebbe essere non meno “terribile” e aiuterebbe a sentire i contenuti non visivi sottintesi al visivo. Si ricordi che la vocazione per l’arte è un gran dono, che va rispettato e di cui si deve esser coscienti in ogni momento. Le auguro buon lavoro.
I miei più cordiali saluti, anche a sua moglie.

Vittoria Corti 





Esposizioni di Cesare Piscopo



Mostre collettive 

1963 – 1980
Partecipazione a varie mostre e concorsi nel Salento
1989
Parabita - Insieme per solidarietà. Mostra di Artisti del Salento. Galleria “Bavota”
1996
Gallipoli – Ex Mercato Coperto
S. Caterina di Nardò - 5 Artisti a Villa Giulio
Lecce - Centro Intern. Art Ego
1998
Parabita - Pro Loco
Racale  - Pro Loco
Specchia - Specchiarte
Firenze - Galleria Mentana
1999
Lecce - Associazione Culturale Raggio Verde
Milano - Studio d’Arte Art Mele
Galatina - Artistika
Lecce - Hotel President
Manduria - Testimonianze d’Arte Jonico-Salentina
Foggia - Mostra Nazionale Premio Primavera
Otranto - Adriatica. Castello
Bari - Expo arte
2000
Lecce - Kontemporarte
Galatina - Galleria Il Circolo del Collezionista
Specchia - Specchiarte
2001
Galatina - Lecce-Arredo. Quartiere Fieristico
Barletta - Premio De Nittis
Galatina - Rassegna Nazionale di Pittura. Torre dell’Orologio
Lecce -  Artistika. Fiera di Galatina; Quartiere fieristico  
Carmiano - Rassegna di Artisti Salentini. Associaz. Cult. Amici dell’Arte
Gallipoli - Arti Levante
Maglie - Galleria Capece
2002
Parabita - Opere d’Autore in esposizione. Bottega dell’Arte
Noha (Galatina) - Università della Terza Età
Galatina - Associazione Caravaggio
2003
Galatina - Galleria Il Circolo del Collezionista. Disegni, Acquerelli, Stampe
Galatina - Galleria Il Circolo del Collezionista
2004/05
Acaia(Lecce) – Incontro tra linguaggi. Masseria Copertini
2005
Corigliano - Rassegna d’Arte. Castello Ducale
Tricase – Antlauces. Palazzo Gallone
2005/06
Gallipoli - Mediterranea. Rassegna d’arte Contemporanea. Caroli Hotels Gallery –
2006/07
Gallipoli - La Casa dell’Artista – Rassegna d’arte Contemporanea 
2009  
Bologna – Circolo Artistico


Mostre personali

1971        Lecce – Cesi Piscopo. Centro Studi L’Elicona
1978        Gallipoli – Studio Fotografico Pedaci
1979        Gallipoli – Torre dell’Orologio
1980        Gallipoli – Torre dell’Orologio
1995        Lecce – Galleria Progetto Arte
1995        Tricase – Ideare facendo. Biblioteca Comunale
1995        Otranto – Palazzo Lopez
1995        Parabita – Pinacoteca Giannelli
1997        Maglie – Cesare Piscopo. Opere recenti. Galleria Capece
1998        Lecce – Associazione Raggio Verde
1998        Casarano – Omaggio a Kokoschka. Galleria Comunale
1998        Gallipoli – Associazione Culturale Gallipoli Nostra
1998        Leuca – Hotel Rizieri
1999        Lecce – Salento Passione. La Caffetteria
1999        Casarano - I miei mostri. Palazzo D’Elia
1999        Firenze – Bar Dolce Vita
1999        Martano – Palazzo Baronale (Agorà)
1999        Campi Salentina – Casa Calabrese Prato
2000        Tuglie – Galleria Comunale
2001        Galatina – LecceArredo. Quartiere fieristico
2002        Galatina – I collages. Galleria d’arte Il Circolo del Collezionista
2003        Tricase – Biblioteca Comunale
2004        Alessano – Paesaggi come visioni. Palazzo Legari
2004        Tricase – Esperienze a confronto. Scuderie di Palazzo Gallone
2004        Presicce – Paesaggi come visioni. Palazzo Ducale
2004        Parabita – Paesaggi come visioni. Sala Palazzo Ferrari
2005        Mesagne – Il mare in luce. Castello Normanno Svevo
2005        Lecce – Percorsi di luce. Galleria Maccagnani
2005        Tricase – Il mare in luce. Palazzo Gallone, Sala del Trono
2005        Lucugnano –C. Piscopo. Il paesaggio, la luce della poesia. Palazzo Comi
2005        Parabita – Arte in Parabita: l’eco delle Veneri. Palazzo Ferrari
2005        Corigliano – Il Matrimonio Perfetto. Castello Ducale
2005/06   Presicce -  Palazzo Ducale
2006        Tricase – Il mare di Venere. Palazzo Gallone, Sala del Trono
2006        Parabita – Arte in Parabita – Rassegna di artisti parabitani
2006        Corigliano – Il Matrimonio Perfetto. Castello Ducale
2006/07   Locorotando -  Da terra a mare
2007        Borgo Maggiore-Repubblica di San Marino. Calligrammi per un naufragio
2007        Lecce - Messaggi dal mare. Beauty and Book
2008        Parabita – Arte in Parabita; ex Convento dei Domenicani
2008        Gagliano del Capo – Omaggio a Vincenzo Ciardo. Palazzo Ciardo
2008        San Michele Salentino – Flussi e riflussi dell’anima. Museo Cavallo
2009        Leuca -  I colori del Salento. Auditorium Chiesa Cristo Re
2009        Parabita -  Arte in Parabita; ex Convento dei Domenicani
2009        Galatina - C’era una volta il mare. Museo Pietro Cavoti
2010        Gagliano del Capo - Biblioteca Comunale
2011        Parabita - Palazzo Ferrari
2013        Patù - LA NOTTE DEI MUSEI; Palazzo Liborio Romano: 18 maggio 2013 
2014        Collepasso - Cesare Piscopo; SPAZIO KRONOS - dal 22 novembre all'11                             gennaio 2015

Cesare Piscopo. I miei collages




I miei dipinti-collages sono costituiti, in genere, da foto, riproduzioni varie, frammenti di miei disegni e colore acrilico. Nelle mie composizioni, i frammenti di carta, anche quando si dissolvono mediante l’azione della cancellazione(strappo, sovrapposizioni e sfumature di colore), evidenziano un’immagine caotica e indeterminata, volutamente non preordinata, metafora di una realtà sospesa tra l’Essere e il Nulla.


  

































Cesare Piscopo (2000)
Tutti i diritti riservati





Lettere di alunni al prof. Cesare Piscopo





Gemini, 8 maggio 1995

Caro prof. Antonio Cesare.
Siamo alla fine dell’anno, vorremmo tirare le somme. Di lei ho osservato lati negativi e lati positivi, di lati negativi ce n’è stato qualcuno ma non per colpa sua, ma per colpa nostra perché combinavamo pasticci e ci azzuffavamo. I lati positivi invece ce ne sono stati molti perché, oltre a disegnare, abbiamo anche parlato e scherzato nei momenti più liberi. Secondo me lei è un professore tra i migliori della scuola.
Il suo alunno Fabio




Gemini, 8 maggio 1995

Caro professore Piscopo.
Ho deciso di scrivere questa lettera perché si sta già avvicinando la fine dell’anno scolastico 1994/’95 ed ho deciso di dirle la verità, non per vantarla ma lei è stato sempre un bravo professore di Educazione Artistica. Però oltre ai pregi ci sono anche i difetti: come quando succede qualche litigio o qualche cosa del genere e lei vuole mettere subito la nota. Mi piacciono le sue ore perché possiamo usare diversi comportamenti: disegnare, parlare, scherzare.
Tanti saluti.
Il suo alunno Graziano




Gemini, 8 maggio 1995

Caro professore Piscopo,
l’anno scolastico sta finendo ed io le vorrei dire una cosa: la sua materia mi piace molto e lei mi è simpatico e spero che rimanga così.
Il suo alunno Simone





Maria Pia Romano. Cesare Piscopo ed il Salento: un amore-passione






“Olivi verdeggianti nascono dal mare/e le compatte pietre/saldate dal tempo/nutrono il ventre/di antiche lucertole/Ascolto misteriose voci/ che scavano caverne/e osservo l’onda/che annega i desideri/Assorto/rimiro il Salento/dalla finestra disegnata dal sole”: nella suggestione di queste vivide immagini, che si snodano intrigantemente verso dopo verso, racchiudendo polposi campi semantici, c’è l’estatica dichiarazione d’amore di Cesare Piscopo alla sua terra. Terra magica e vera, bella e selvaggia, prepotentemente audace nell’intensità dei suoi scorci, dei suoi profumi, del suo umido scirocco; assortamente poetica nell’impalpabile immobilità che la avvolge nella calura estiva, immergendola in rarefatte atmosfere senza tempo e confini. La poesia “Salento”, è essenziale per entrare nel rapporto fra il pittore-poeta salentino con la sua terra: non c’è solo attonita contemplazione, ammirazione sconfinata, legame affettivo, ma c’è qualcosa in più che arriva direttamente al cuore del fruitore catturandolo di slancio. E’ qualcosa che pervade l’incisivo spazio della tela in cui tonalità profonde si mescolano a lucide vibrazioni di rosa e di bianco, trionfano il giallo oro e l’arancio intenso in voluttuose stesure e passionali spatolate, in cui il bruno caldo si accosta al luccichio delle cromie più accese. Qualcosa che avvolge ed incanta al primo sguardo e che rende la poesia di Cesare Piscopo nitida immagine visivamente ritmata dal fluire del verso, la sua arte figurativa assorta dimensione poetica da gustare emozionandosi. E questo qualcosa è l’amore-passione di Piscopo per il Salento: ogni fibra del suo vibratile cuore pulsa all’unisono con il cielo ed il mare e, quando egli prende il pennello, non dipinge ciò che vede ed osserva, ma ciò che sente scorrere nelle sue vene. Più che un legame inscindibile, si scorge nel rapporto Piscopo-Salento una sorta di simbiosi osmotica: nell’onda che s’infrange nell’estasi del paesaggio del Ciolo, nei colori incantevoli del tramonto sulla costa salentina, nei tratti di scogliera che si spingono fino all’estrema propaggine di Leuca, c’è Piscopo stesso che sussulta, geme e si crogiola, vivendo ciò che ci racconterà con i suoi colori una volta ritornato uomo. Un amore-passione quello di Cesare Piscopo con il Salento che, ora è abbraccio sensuale, ora fusione voluttuosa, ora sublimata idealizzazione per rendere palpabile l’incanto profondo che dimora nel cuore.


Maria Pia Romano (Notes,1999)







martedì 15 gennaio 2013

Cesare Piscopo. La “caseddra” del Salento






Caseddra, pajara o furneddru (caseddha, furneddhu) sono denominazioni locali che si riferiscono ad un genere di abitazione rurale sparso nelle campagne e lungo le coste della penisola salentina. In generale la caseddra viene costruita dal contadino del luogo e utilizzata d’inverno come riparo dagli agenti atmosferici e durante l’estate come dimora temporanea. Essa viene eretta laddove il suolo si presenta particolarmente ricco di materiale roccioso sfaldato (la locale pietra viva ) e può essere interpretata come un segnale teso a umanizzare il paesaggio.
Il prototipo della caseddra è da ricercare, secondo alcuni studiosi, addirittura nel tipo, risalente ad epoca protostorica, di abitazione mediterranea. Fenomeni di attardamento e di conservazione sono possibili, infatti, anche nell’ambito vastissimo dell’architettura popolare. Per cui la tendenza insita nell’uomo, e particolarmente nel contadino, alla conservazione del patrimonio culturale e formale ereditato dai padri e la stratificazione di civiltà unitarie in tutto il Mediterraneo (dal primo substrato “promomediterraneo” attraverso la civiltà fenicia, greca e romana fino a quella dell’Islam) spiega il ripetersi di forme e motivi costruttivi e stilistici anche a grandi distanze di tempo e di spazio. L’architettura popolare del Mediterraneo è stata sempre caratterizzata da un’estrema semplicità di linee; dalla prevalenza delle superfici piene sui vuoti; dalla presenza di scale esterne; dall’uso della falsa cupola; dall’assenza di decorazione esterna. Caratteristiche che si possono riscontrare nella caseddra del Salento. Anzi , dal punto di vista costruttivo è stata ammessa, da parte di alcuni studiosi, una certa analogia fra la caseddra e
le pinnette sarde, le casite istriane, le capanne di pietra (talayots a pianta circolare o quadrata) delle isole Baleari, alcune costruzioni della Dordogna, della Navarra, della Catalogna, delle Alpi Liguri, dell’Irlanda, tutte regioni affini geologicamente o per caratteristiche dello sfaldamento roccioso.
Fatta questa premessa, riteniamo opportuno distinguere, nonostante la varietà di forme, due tipi fondamentali di caseddre: uno a base e sviluppo quadrangolare, diffuso in prevalenza nella zona del Capo di Leuca, ed un altro a base e sviluppo circolare, più frequente a Nord di Maglie. Ambedue i tipi (a volte combinati insieme) si ispirano alle forme geometriche semplici (il quadrato e il cerchio) da cui si sono sviluppati i tipi più arcaici di costruzione, la capanna a pianta quadrata o circolare. Lasciamo a più tardi l’aggancio storico con tale tipo di costruzione primitiva e analizziamo, nei limiti di questa breve ricerca, la tecnica costruttiva della caseddra.
La caseddra viene eretta di solito sopra un basamento roccioso, con una profonda muratura inclinata verso l’interno in modo che il profilo della costruzione risulti troncoconico, se a pianta circolare, tronco piramidale, se a pianta quadrata.La sua costruzione avviene mediante la sovrapposizione, senza legante, di pietre che vengono sistemate ad incastro, con il graduale restringimento del raggio della copertura. All’interno della caseddra i conci di pietra aggettanti si chiudono in cima (si trovano non raramente degli orifizi al posto della chiave della  cupola) formando un sistema di copertura a falsa cupola. Nel perimetro interiore, una serie di nicchie, ricavate nello spessore murario, serviva a diversi usi domestici. Il bianco dell’intonaco rende più accogliente, pulito e abitabile l’ambiente. La muraglia esterna dell’edificio è molto spesso avvolta da un gradone di spessore e altezza variabili, comunque aggirantesi intorno ai due metri per due. Tale gradone termina in prossimità dell’ingresso, che è un’apertura completata da una specie di arco oppure da due conci di tufo disposti a forma di v capovolta, con due opposti sedili in pietra. Una stretta scala esterna, ricavata nella muratura stessa, sfianca a spirale la costruzione e permette di accedere sulla terrazza a copertura piana o a cupola depressa. Presso un lato dell’ingresso, all’aperto, vi si trova quasi sempre un camino domestico, di forma rettangolare o quadrata, pure in pietra viva; esso costituisce col prolungamento del muro nel quale è ricavato, una rozza corte o patio antistante l’ingresso. Il patio può anche essere ricoperto da una fitta serie di canne o da un pergolato. Talvolta tutte le superfici esterne della caseddra vengono intonacate con diversi strati di calce in modo da favorire una maggiore igiene, e d’estate, la riflessione dei raggi solari.
Esiste poi un tipo di caseddra costituito dall’aggregazione di più ambienti la cui comunicazione avviene quasi sempre per via esterna. Tali costruzioni hanno tutte l’ingresso rivolto verso il patio. In generale, l’unica apertura dell’edificio è costituita dall’ingresso; ma può esservi, specie se la costruzione è tronco piramidale, una finestrella di forma quadrangolare la cui luce è ridottissima. Un altro tipo di caseddra, di forme e dimensioni eccezionali, è quello formato da più gradoni comunicanti fra loro attraverso una serie di scale esterne. Nell’interno, numerosi vani prendono luce attraverso strette aperture.
Storicamente, per quanto riguarda l’utilizzazione di piante a forma quadrata o rotonda, dobbiamo necessariamente riportarci molto indietro. Escludendo le grotte e limitandoci agli spazi costruiti, probabilmente la forma più elementare che si presenta alla mente dell’uomo è quella circolare secondo le due principali accezioni simboliche della forma rotonda: cerchio magico e rappresentazione dell’utero materno. Tuttavia non è escluso che la delimitazione dello spazio in forma quadrata o comunque quadrangolare non sia che un’altra rappresentazione elementare che l’uomo si fa del proprio ambiente. La pianta circolare diventa comune nell’età del Bronzo in tutta l’area mediterranea diffondendosi successivamente presso le popolazioni celtiche della penisola iberica e delle isole britanniche. Qualche rara costruzione rotonda si trova ancora in Irlanda e Scozia adibita generalmente a deposito; gli esempi più notevoli si trovano naturalmente nell’area mediterranea (vedi la tomba a thòlos di Micene e i nuraghi della Sardegna). La casa a pianta quadrangolare, considerata non più successiva alla casa circolare ma ad essa contemporanea, facente quindi parte dei primi sviluppi dell’abitazione umana (struttura in legno o palafitta), trovò ampia diffusione nel mondo egeo, configurandosi nella forma classica del megaron inserito nei complessi palazziali, ma anche presente come singolo elemento di casa di abitazione.
Ci sembra opportuno aggiungere qui tutta la ricca serie di abitazioni mediterranee intonacate a calce, con vani a forma di cubo e copertura a terrazza o a cupola ribassata, la cui origine è sicuramente araba. Tale architettura, che costituisce il tipo popolare e più diffuso della costa meridionale italiana, è quindi per questa zona facilmente riconducibile ad uno strato culturale posteriore alla invasione araba.

Si può concludere questo breve studio affermando che la caseddra, da preservare e tramandare, costituisce, almeno nel Salento, un raro esempio di architettura popolare da tutelare, la cui diffusione è stata indice di un profondo e vitale attaccamento dell’uomo verso il suo ambiente. 

Cesare Piscopo







lunedì 14 gennaio 2013

Angela Serafino. Il paesaggio – la luce della poesia





(…) Siate l’azzurro diviso e indiviso
dei succhi immemorabili viventi
nella rugiada arborea dei venti
e nella castità elementare
dell’universo tutto orlato e intriso
di flore d’astri e di zolle di mare…

Girolamo Comi, dal Cantico del Tempo e del Seme

I paesaggi, scrivono i poeti, si posano nelle zolle e nell’albero, nel mare e nei dadi delle facciate delle case, nelle lune, nei cieli, nell’erbe…Poi continuano nelle carni e diventano l’ossame dell’esistere attraverso l’ostinata qualità della luce che è come

Franta in smeraldi o condensata in raggi
di radiose carni di paesaggi
in te contempli la tua fiamma agire
nell’inno sommo d’ogni mezzogiorno
che testimonia ed intona il ritorno
di un soprannaturale divenire:
e le durate sempre inviolate
del tuo immobile moto tutto cieli
gremiscono di gioventù alate
il seme della terra ed i suoi steli.

***

Fra noi l’avvento dei tuoi eterei apici
si riproduce nel cuore dei calici
delle Mattine e delle Notti , o sboccia
nella verginità della Parola
che nata nel silenzio della gola
si risolve e s’espande in preghiera dirotta…
(dal Cantico della Luce)

Si rincontrano i paesaggi fuori dalle cornici: negli oggetti, nelle stagioni che voltano le pagine della luce, nei volti; s’incontrano i paesaggi nella lingua.
Questa mostra, Il paesaggio – la luce della poesia, raccoglie l’esperienza dei riflessi che si generano dai colori, raccoglie l’esperienza dei riflessi che si generano dalle parole.
A volte complici della stessa forza poietica, colori e parole, danno forma a spazi contigui. Il paesaggio è questo grande spazio semantico che implode ed esplode di sensi dai quali i linguaggi attingono e si contaminano, si interfacciano, si contemplano…
Nella ricerca dei modelli da esporre a testimonianza della nostra non semplicistica né immediata riconducibilità culturale del territorio, l’Arte, in tutte le sue espansioni di codici, credo abbia la grande possibilità, nonché la capacità di rendere percepibili gli strati, i legami, i connubi e le elaborazioni che partono dallo stesso scenario esistenziale – natura. La natura, questo punto d’incontro e di fuga della terra e del mare, del riverbero del cielo nell’acqua, è il punto d’incontro e di fuga della nostra tradizione che diventa ossatura sulla quale comporre le variazioni, nella libertà di non produrre cataloghi di identità ma dialoghi aperti nel paesaggio che muta.
I poeti si soffermano a soffiare l’incanto della luce del paesaggio non ritagliabile nello scorcio ameno della sola veduta ma, come luogo portante (ossatura) dell’intera coesione di forze e monotonie, che diviene misura e numero, rigore e malinconia, ottuso vuoto e violento trapasso del sole. La luce dà forma al paesaggio come Una ripetizione alta e solenne/di generazioni d’ore eterne/(che) imprime dentro l’entità che siamo,/la vibrazione d’un caldo richiamo/restaurando le segrete gemme/del nostro tronco e del suo primo germe. (dal Cantico della Luce)

La ripetizione solenne crea le raccolte del poeta e le raccolte del pittore, entrambe si sostanziano e si nutrono della stessa materia – luce - . All’interno del percorso della mostra la luce, è disseminata attraverso le opere, come frammenti di questo immenso e insostituibile patrimonio materialeimpalpabile, che tiene e frangia i nostri luoghi e attraversa e costruisce i pensieri.
Per quanto concerne la poesia, la scelta di lasciare aperto lo spazio dei versi consente di non raffreddare l’intensità delle parole ma all’inverso ne comprime nello stralcio del verso la forza. La poesia in questo contesto specifico è l’ospite, con le parole di Comi i particolare e di Bodini. Parche quelle di quest’ultimo, ma di grande risonanza per la stessa ragione della sintesi di cui sopra. Il criterio della scelta dei versi è quello di creare semanticamente un riverbero, ascoltando lo spazio che resta vuoto di significato, come fossero i versi degli appunti di luce caduti come foglie.
L’altro criterio per la scelta delle opere di Cesare Piscopo è rendere all’opera stessa, intanto, la sua forza che è nella continuità dell’evocazione poetica del paesaggio, nella ripetizione degli elementi che si assottigliano sempre più in particolari nel gioco rigoroso delle correspondances. Gli strati di colore nelle diverse materie diventano metaforicamente accessi. Diventa possibile a questo punto inoltrarsi nel segreto compositivo delle opere e dei luoghi, sconfinando senza pericolo della vicinanza dei generi poietici differenti. Dall’esperienza del reale, nascono le opere le quali però diventano esse stesse esperienza. Il percorso della mostra è pensato come luogo nel quale diventano materia comune d’intesa il colore e la parola, per il tramite della luce, nel riscontro del rigore formale.

I versi di Girolamo Comi fanno parte della raccolta Spirito d’Armonia 1912-1952, Edizioni dell’”Albero”, Lucugnano, 1954. I versi di Vittorio Bodini sono tratti dall’edizione Tutte le poesie 1932-1970, a cura di Oreste Macrì, Mondadori, Milano 1983.
Le opere di Cesare Piscopo comprendono i disegni a tempera e inchiostro, i collages, gli olii, gli acrilici, opere che vanno dal 1993 al 2005. Tempo durante il quale il contatto con gli elementi del paesaggio in particolare il mare e il cielo, amplificati dalla forza della luce, non si è né interrotto né ridotto.
I disegni nella loro sintesi e immediata evocazione degli orli di tutti i paesi, dei confini tra le linee delle sostanze godute in guizzi continui di colori, sono delle possibilità di dar forma ad un luogo. Sparsi e frastagliati i colori ci sorprendono e spostano il punto d’osservazione fuori dal fuoco centrale, come le corolle che sbucano con forza dal fondo della vegetazione (guizzi continui). In questi disegni l’andamento del colore acceso e sinuoso, mantiene vivo il passo e l’impatto dell’immaginazione che raccoglie le informazioni visive per poi mettersi al lavoro senza rinunciare al guizzo. La dimensione spaziale in queste opere è aperta proprio come se si aspettasse il cenno da parte del paesaggio ad approfondire la conoscenza.
Nelle opere ad olio come Notturno a Leuca (’98), Foglie d’Autunno (’99), Mare (’98), il luogo/paesaggio è l’impasto spesso della materia colore, che quasi lievitata si scorda della visione referenziale. In questa dimenticanza si fa più intenso il dialogo tra l’artista e il paesaggio, scrive a proposito di questo Piscopo: “Il mio punto di riferimento è la natura come vista attraverso una lente che dissolve le forme, svuotando le masse e, a volte, abbattendo ogni residuo mimetico”. Quindi l’obiettivo che l’artista si propone non è la verosimiglianza ma: “l’espressione di un rapporto interiore tra me e la natura da cui scaturiscono, secondo un’ottica astratta e visionaria, immagini emblematiche cariche di associazioni e suggestioni…affido al colore la liricità dei miei sentimenti…La natura è colore; il colore crea: la forma e l’informe, la luce e l’oscurità, la profondità e la superficie, il pieno e il vuoto, l’essenza e la provvisorietà, armonie e disarmonie”. A proposito di disarmonie, nelle disarticolazioni dei collages, opere che vanno dal ’98 al 2001 circa, comincia ad affiorare la scrittura come materia visiva e il colore volge nell’impasto al bianco, come per far decantare all’interno il peso delle parole. Non importa che siano leggibili, è importante che ci siano come parole nate dal silenzio della gola. Importa che siano pronunciate nel vasto e piccolo spazio del bianco accordando il senso sul dubbio, tra il gioco del Quantidivitaistantidiversi (C. Piscopo, da Fili d’erba). In queste opere, si ri-impasta quella luce del sud, che a volte rende invisibili i legami dello spessore interno che tra gli uomini e le cose si crea. In questi collages, la presenza del bianco non è accecante ma è un contributo alla resa visiva dello scambio dal fondo alla supeficie, alla tangibilità dei segreti custoditi in una patina, che sia quella del muro o quella della mente poco importa.
Quantidivitaistantidiversi la possiamo intendere anche come una dichiarazione teorica che si concreta nelle tele del mare che portano più da vicino le sfumature delle differenti composizioni dell’acqua. I colori si dilatano e sono intrisi del movimento nei cambi dell’altezza e della profondità della visione. E’ come se si potesse fare guardando questi mari una passeggiata sulla costa.
In queste opere la luce, simbolo di una misura silenziosa, costruisce e tesse gli elementi nello slancio e nella stasi. In Mare zen (2004) non a caso l’equilibrio sembra raggiunto. Tutto sembra reggersi nel piccolo accesso del risvolto dell’onda nella parte in basso. Il movimento è attorno alla curva ma non c’è impeto né inondazione, è tutto lì il manto della luce che raccoglie i cromi più forti come il magenta e l’oltremare ma li comprime visibili in piccoli tocchi tesi a formare quel particolare grado d’intensità luminosa né fredda né calda, in moto. Queste ed altre cifre sono raccolte nel Diario emozionale (2005), un’opera estremamente sintetica, dove la luce diventa respiro sferico acceso. Il resto va letto con calma, ascoltando il riverbero. 
                                                                                           
Angela Serafino                       





                                                                                             
(Tratto dal libro Cesare Piscopo. Il paesaggio – la luce della poesia; a cura di Angela Serafino; pubblicato da Il Raggio Verde con il contributo della Provincia di Lecce, in occasione della mostra personale di pittura di Cesare Piscopo tenuta al Palazzo “Comi” di Lucugnano, dal 7 al 21 agosto 2005).


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mercoledì 9 gennaio 2013

Maria Pia Romano. I dipinti su carta di Cesare Piscopo





Girovagando un pò dopo il rituale caffè del sabato pomeriggio, oppure accingedovi a raggiungere i negozi del Corso per lo shopping, oggi potrà capitarvi di passare davanti all'associazione culturale Raggio Verde, in via F. D'aragona n.4, a Lecce, e di vedere i soci in fermento. Proprio oggi 14 febbraio, infatti, alle ore 18,00, si inaugura una nuova mostra: espone i suoi dipinti su carta Cesare Piscopo; interverrà anche il Prof. Mario De Marco e nella stessa serata verrà presentata una raccolta di poesie dell'artista dal titolo "Dal profondo Sud". Piscopo è nativo di Parabita; è stato allievo di Raffaele Spizzico ed ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce. Attualmente è docente di Educazione Artistica nella Scuola Media. E' stato seguito nel suo cammino artistico con particolare cura da Marina Pizzarelli, è stato recensito inoltre, da Mario De Marco, Aldo e Giancarlo Vallone, Massimo Guastella. Alla sua attività di professore, Piscopo affianca con successo quella di artista, esponendo i suoi lavori sia in collettive che in personali.
Non è un'arte di facile comprensione quella di Cesare Piscopo, ha un qualcosa che arriva subito al cuore del fruitore: la passione per la ricerca tecnico-espressiva, l'amore per la linea, il guazzo, l'acquarello, le magiche trasparenze del colore che fanno perdere i contorni definiti e divenire suono gli arabeschi nati sui fogli di carta. Si resta perplessi, però, nella scelta dei soggetti di quest'arte espressionistica: figure che ricordano i graffiti primitivi, che hanno molto di umano, senza avere alcun tratto ben delineato, ma rivelano angoscia nelle loro movenze, sembrano folletti che si smaterializzano nelle loro danze propiziatorie e nei loro segreti rituali; divengono, poi, inquietanti là dove manca il barlume del colore chiaro, trasparente a stendere un velo di serenità sui grovigli dei loro corpi. "Anche se la gamma cromatica e le figure deformate delle composizioni di Cesare sembrano raggelarsi e raggelare, contengono tuttavia un dinamismo energetico che sprizza oltre la definizione delle forme-colore, essendo quest'ultime anch'esse grumi cromatici che non si lasciano costringere dalle delimitazioni del segno" scrive Mario De Marco, affermando che la peculiarità dei lavori del Piscopo è proprio il dinamismo e l'esaltazione "dell'energia potenziale e in atto degli ectoplasmi" che animano le sue opere.

Maria Pia Romano (da Notes, febbraio 1998)




domenica 6 gennaio 2013

Angela Serafino. Interno notte Esterno notte: l'Eco delle Veneri






Negli spazi tra la Pinacoteca, l'atrio della Pro Loco (Palazzo Vinci), la Chiesa dell'Immacolata e il cortile di Palazzo Fai, sarà possibile visitare una mostra dal titolo Interno notte Esterno notte: l'Eco delle Veneri, nella quale saranno presenti le opere/ambientazioni dei seguenti artisti: C. Capone, A. De Paola, A. Martinucci, E. Mastria, C. Piscopo, P. Pitardi, R. Puce, A. Romano. Promotrice della mostra è Gianna Serio; coordinatore Luigi Rigliaco di Art&Ars.
Il tema della mostra nasce da un'idea progettuale che tiene conto delle peculiarità "interne" al territorio: l'importanza storica della Grotta delle Veneri nella quale sono state rinvenute le due altrettanto importanti sculturine in osso, raffiguranti la figura femminile, in qualità di simbolo della fertilità. Con i linguaggi dell'arte contemporanea si è inteso lavorare intorno all'eco simbolica delle Veneri, riattualizzandone la valenza di custodi della casa, creando un'interazione con il luogo/eco affinchè ne scaturissero sfumature attuali sul concetto di ospitalità e accoglienza.
In una accezione a noi più vicina in che modo può ancora tradursi la "funzione" delle Veneri? Tenendo aperta la dinamica dell'accoglienza. Accoglienza qui sta per portare dentro il luogo il piacere della bellezza e della riscoperta del coinvolgimento, intorno a linee morbide e fluide, circolari. L'accoglienza passa nella veicolazione degli oggetti dal loro uso quotidiano sino alla loro estensione simbolico-rituale.
Gli elementi dell'arte, dal colore alle materie alle forme, nel gioco dell'eco tra interno ed esterno intessono con il luogo creazione un legame compositivo nel quale bellezza e il mito si ospitano a vicenda.
Interno notte Esterno notte: l'Eco delle Veneri potrebbe essere intesa come una metafora sia rispetto alla valorizzazione del genius loci che alla semplicissima legge dell'esistere, per la quale senza lo scambio dell'eco tra interno ed esterno non accade nulla, né all'uomo né all'universo. 
Gli artisti, nella loro diversità stilistica, hanno creato delle ambientazioni, non limitandosi a produrre oggetti di visione, ma ricreando l'eco della presenza delle Veneri come portatrici di forme che si rigenerano.

Cesare Piscopo affronta L’Eco delle Veneri proponendo una soluzione che contempli più linguaggi: scrittura-scultura-pittura. Per il senso di ospitalità rende omaggio alle donne con le sue poesie, sospese a dei fili su uno sfondo azzurrino di tulle, tra piccole pietre.
Già in questo allestimento sono evocate le Veneri; dal colore, dalle pietre forate nel centro. Sul pavimento con altre pietre Piscopo modella il profilo di un corpo ancestrale. Come l’autore stesso spiega, ha scelto le pietre per dare incidenza all’uso che di queste se ne può fare, da materiali di offesa o di morte, qui si trasformano in elementi che raccolgono la vita.  Il dialogo con gli elementi primigeni continua, con l’uso della terra, con la quale Piscopo compone il ventre fiorito, intorno al quale colloquiano delle sculture di terracotta policroma. Sulle pareti la riproposizione pittorica delle Veneri in forma più verosimigliante.

Angela Serafino (tratto da Interno notte Esterno notte: l’Eco delle Veneri. Parabita; Pinacoteca Enrico Giannelli. Arte in Parabita; 28 agosto – 3 settembre 2005).




sabato 5 gennaio 2013

Maria Pia Romano. Cesare Piscopo e l'intensità del Salento






Pennellate dense, accese, vibranti, alternate a suggestivi colpi di spatola per raccontare, nella sconcertante vitalità del cromatismo, nel pulsante ritmo delle sovrapposizioni e degli intrecci, nella semplicità disarmante dei soggetti, la storia di un amore-passione. Lo si sente gemere e gridare, poi inebriarsi d’oblio e gioia d’esistere: è un amore che sembrava sopito ed è rinato, vivido e vero, irrefrenabile e stregante, così struggente da vivere, così ricco da esprimere. Quest’amore che non si controlla, che indomito e selvaggio entra nel cuore e s’impossessa di lui senza via di scampo; quest’amore che è tutto da vivere e da gustare, nell’ebbrezza di un sogno riscoperto; quest’amore che tormenta, perseguita, che appaga e fa gioire, è tutto lì: nella magia di un olio su tela. Con fervore Cesare Piscopo si è dedicato negli ultimi mesi a raccontare in versi di colore e spatola il suo legame col Salento: terra audacemente bella nell’intensità dei suoi scorci, nella prepotenza della sua voce che non si genuflette dinanzi al cammino della civiltà, ma pare urlare e cantare, oggi come ieri, dalle pietre arse dal sole e dai tronchi contorti degli ulivi secolari, dall’onda che s’infrange sulla scogliera e dagli anfratti misteriosi della sua costa. Profondamente commosso dalla voce del suo Sud, Cesare Piscopo ci regala suggestivi momenti inebriandosi del sortilegio atavico che si respira nella luce e nei colori di questa terra in cui risuonano mistiche le sonorità della pizzica-pizzica, mentre gli animi si contorcono e si dimenano. Sembrerebbe disorientare il repentino cambiamento del Piscopo, ma basta leggere le parole di Nicola G. De Donno che dice che “Il travaglio della ricerca non è stato finora breve, e continuerà, credo, quanto continuerà per Piscopo il dipingere, cioè tutta la vita” ed afferma, poi, che il tema del paesaggio non è affatto nuovo in lui, ma già nel 1971 Cesare Piscopo dedicò una mostra personale all’amore per la natura premettendo una dichiarazione di poetica figurativa. Confermandoci di una personalità eclettica e complessa, ma profondamente sensibile ed innamorato allo spasimo delle sensazioni che la vita ci regala. Cesare Piscopo si ripropone con la sobrietà e l’eleganza che gli sono proprie, inserendo nel suo nuovo catalogo alcuni dei suoi brevi e preziosi componimenti in versi e senza dilungarsi in interminabili e superflui “cenni biografici”, ma avendo cura di riportare solo le esposizioni più recenti . Suggestiva la presentazione di De Donno “Nota breve sulla ricerca pittorica e la utopia edenica di Cesare Piscopo”; molto coinvolgente e sentita quella di Maria Rosaria Pascali “Cesare Piscopo: ad pingendum vocatus”. Sono rimasta sinceramente colpita nel leggere le parole della dott.ssa Pascali e le faccio i miei più sinceri complimenti  per le sue doti espressive, che non partono dalla penna, ma dai meandri del cuore.

Maria Pia Romano (Da Notes,1999)










Maria Pia Romano. La seducente angoscia dell'arte di Cesare Piscopo







“Difficile dare forma /alle indefinibili vibrazioni /dell’animo (…)” si legge in una poesia di Cesare Piscopo e sono versi che sembrano spiegare suggestivamente la genesi della sua arte: un’arte di guazzi, di toni contrastanti volutamente accostati, di forme deformate, indefinite eppure dinamicamente inquietanti; un’arte, però, sempre profondamente introspettiva. Lo scavo spietato dell’io non sembra spaventare l’autore, anche quando mette a nudo incomunicabilità, desolazione, angoscia: Piscopo si scopre, con i suoi simili, creatura alla continua ed inesauribile ricerca di un’umana armonia, ma ciò piuttosto che farlo scivolare nella disperazione, gli dà un senso di doloroso distacco con cui guardare alla vita. Si esprime sinceramente, con la sicurezza e l’immediatezza del suo gesto creativo, consapevole che le nostre esistenze sono cupe e vuote e sforzandosi di fare arrivare questo messaggio al fruitore.
Già una volta scrissi che l’arte di Cesare Piscopo non è di facile comprensione: è immediato l’impatto cromatico, ma l’essenzialità schietta e angosciante delle figure che animano i suoi dipinti risulta inquietante. Non c’è gioia di vivere, ma il desiderio prepotente di “venire fuori” dalla carta e dal gioco incompiuto del pennello che le ha generate lasciandole senza mani, senza occhi, senza felicità. Personaggi che si agitano, si contorcono senza trovare pace: “Volti e corpi, dai tratti grotteschi e caricaturali, rappresentano un’umanità primordiale, desolata, vanamente alla ricerca di armonia, di perfezione”, scrive l’autore spiegando la sua arte espressionistica.
Piscopo si dichiara prevalentemente pittore ed ammette di dedicarsi alla poesia solo marginalmente, ma, leggendo il suo libro “Dal profondo Sud” siamo rimasti incantati dalla sua capacità di esprimersi per immagini, dono magnifico della poesia contemporanea, dalla sua essenzialità espressiva, dall’autenticità della sua ispirazione: “Realizzo sognando e sogno realizzando” si legge in un suo componimento e questa ci sembra la più bella dichiarazione d’amore all’Arte e alla Vita. La vita che è angoscia, inquietudine, ma che è bella d’amare giorno per giorno, in tutta la sua sconcertante originalità. Al di là di tutte le forme inquietanti dei suoi dipinti, Cesare Piscopo mi appare innamorato della vita perché sa, a mio avviso, che la vita è un mistero da vivere e da apprezzare comunque.


Maria Pia Romano (Da Notes - luglio 1998) 





giovedì 3 gennaio 2013

Una poesia di Rocco Coronese

La realtà incontra
il campo della fantasia
e l'alba sorprende
i gesti della vita
mentre i segni
compongono il pensiero
lontano nella clessidra
cerchi la ragione
come in una ragnatela
variopinta di campi
attraversati da giochi
riflessi nelle acque
di terre lontane

I rilievi scritti
della pietra paglierina
ricordano i fili ordinati
sul telaio antico

Ritrovo le riflessioni
dell'ansia e dell'apparenza
Ritrovo le superfici
chiare dell'invenzione
Ritrovo lo scavo multiforme
della cultura antica
Ritrovo il gioco
nei campi solari della fatica

E' segnato nel cielo
il profilo verde azzurro
del Salento
mai per sempre valicato

Rocco Coronese (Dal catalogo della mostra 5 Artisti a VILLA GIULIO; "Oasi Club" - S. Caterina di Nardò, 7 - 21 settembre 1996).
(I cinque artisti: Paolo Arnesano, Franco Contini, Giuseppe Lisi, Cesare Piscopo, Luigi Sergi).

martedì 1 gennaio 2013

Cesare Piscopo. Messaggi dal mare









Questo mare ci circonda
in un unico immenso abbraccio

Isolati noi ci amiamo.
Immensamente ci amiamo!



Questa sera il mare è
una dolce distesa d’acqua
Il cielo ha tutti i colori
dei fiori di primavera



Scrive il vento
messaggi sul mare
che solo la luna
può interpretare



Spesso il mio pensiero
corre a te
come le onde del mare
corrono alla riva




Tu sei il mare
ricordi?
Ed io vorrei tuffarmi
nell’abisso della tua anima



Azzurro come il mare
rosso come la passione
bianco come la colomba
che ti porta il mio messaggio d’amore



I colori sono come il mare
ti accarezzano
ti sconvolgono
si sciolgono in luce
Un mare di luce!




Di notte sei presente in molti sogni
Di giorno ti vedo in ogni fiore



Alta e bassa marea
Il mio e il tuo
un unico respiro




Acqua marina
libera la mia anima
e sciogli ogni dubbio:
lei mi ama?



Il vento spazza via
Le ultime foglie;
mescola odori e rumori.
S'agita il mare:
Tu sola sei il faro
che nessun’onda abbatterà.



Onde che si infrangono
sulla costa
Accordo di suoni
Io ti stringo a me




Scompaiono il sole
il cielo, il mare…c’è nebbia,
tanta nebbia…
ma non nel mio cuore!



Mossa dal vento l’erba
sembra il mare,
e luccica baciata da un pallido sole.
Mi manchi amore, manca il tuo calore!



Scambiamoci dei baci, dolcissima,
sono fiori dell’albero dell’amore.



Ho dipinto di bianco una tela
e con il rosso ho scritto
TI AMO



Né tempo né spazio
un bacio unisce due cuori
che si attraggono



Un libro scritto a due mani?
un’intensa storia d’amore.



Abbattiamo limiti  e convenzioni
l’acqua del mare
scorrerà senza impedimenti




Profondità marine
tutto torna scuro
Il silenzio è d’obbligo?



Porto Tricase
Il mare sembra immobile
Il cielo una vuota distesa di luce



Il poeta sogna
e l’uomo ama
La poesia è
un modo per mettermi
in contatto con te

Io e te
finalmente uniti! 




Cesare Piscopo (2007)
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