mercoledì 27 febbraio 2013

Marina Pizzarelli. La Raccolta Giannelli di Parabita



E’ una storia bella e insolita quella del Museo Giannelli di Parabita, istituito nel lontano 1924 per volontà e generosità di Enrico Giannelli, pittore, studioso d’arte e di numismatica, collezionista: bella e insolita perché nasce da una grande passione e dal nobile desiderio di farne partecipe il prossimo; perché supera l’interesse materiale, il pur legittimo senso del possesso personale, per rendere pubblico un bene raccolto in lunghi anni di amorevole ricerca; perché capace, infine, di dare l’avvio ad un processo di sensibilizzazione e condivisione di quell’idea. Ed è una storia che sorprende non solo per le ragioni su elencate, ma per la scoperta di una realtà inaspettata in un luogo marginale ed in un momento storico poco propizio alle aperture culturali, quando l’Italietta post-risorgimentale si affacciava al nuovo secolo. Che ci fosse nel codice genetico di Enrico Giannelli e nella sua formazione una predisposizione verso ideali di rinnovamento e apertura sociale che confluiscono in una visione culturale illuminata, trova conferma nella sua ascendenza familiare. Suo padre, Andrea Giannelli (1821/1921), medico e patriota, aveva lottato per la causa risorgimentale combattendo volontario nella I Guerra di Indipendenza, era stato perseguitato dalla polizia borbonica e infine esiliato nello Stato Pontificio. Ritornato nel Salento, aveva sposato donna Agnese Ferrari dei duchi di Parabita, da cui il 30 settembre 1854, ad Alezio, era nato Enrico.
Avviato agli studi classici presso il liceo ginnasio Capece di Maglie, il giovane Giannelli vi incontra come professore Paolo Emilio Stasi, artista di formazione napoletana alla scuola di Giuseppe Mancinelli. Insegnante dotato di profondo intuito (sarà responsabile dell’educazione dei più giovani Giuseppe Casciaro e Michele Palumbo), Stasi indirizza il suo allievo verso gli studi artistici che puntualmente avverranno nell’Istituto di Belle Arti di Napoli, sotto la guida del paesaggista Gabriele Smargiassi, seguace della scuola di Posillipo (1874).
Ha inizio così per Enrico Giannelli un soggiorno napoletano all’incirca trentennale caratterizzato, dopo il diploma e l’abilitazione, dall’insegnamento di disegno nella Reale Scuola Superiore di Agricoltura a Portici (1882/1896) e dall’incarico di segretario della Promotrice di Belle Arti “Salvator Rosa” a Napoli (1904/1911). Intreccia in questo periodo una rete di frequentazioni nell’ambiente artistico-culturale locale, importante per la formazione di quelle competenze che utilizzerà nella sua pittura e nelle scelte per la collezione di quadri e sculture che andava formando.
Si delinea così quell’identità particolare e composita di Giannelli: nobiluomo di provincia e insieme personaggio di larghe vedute, capace organizzatore e animatore culturale; raffinato studioso e artista di sapiente mestiere; generoso divulgatore della sua collezione e orgoglioso custode di un nome che volle per sempre legato ad essa. Forte di un patrimonio di preziose esperienze, Enrico Giannelli è pronto, ritornato a Parabita, ad investire nella sua terra. Convinto sostenitore della necessità di decentrare le istituzioni di formazione artistica, fonda nel 1908 la “Scuola serale di disegno applicato alle arti”, di cui sarà direttore, primo nucleo dell’attuale Istituto Statale d’Arte a lui meritatamente intitolato. Da lì usciranno schiere di artisti-artigiani la cui bravura e finezza tecnica ha lasciato il segno nell’arredo pubblico e privato della città. Nel 1916 pubblica il volume Artisti napoletani viventi, pittori, scultori ed architetti, dove confluiscono tutte le preziose conoscenze di cui è depositario. Esperto di numismatica, è autore dei Disegni a penna di monete dei Re di Napoli e di Sicilia, premiato con diploma d’onore.
E’ del 1922 il primo documento di donazione al Comune di Parabita della Collezione di quadri e sculture denominata Raccolta di opere d’arte “Enrico Giannelli”, che si concretizzerà il 23 luglio 1924 con atto del notaio Giorgio Motta, durante l’amministrazione del sindaco Giuseppe Vinci. A questa prima donazione segue nel 1941 quella della biblioteca di libri d’arte e di numismatica, insieme ad una raccolta di disegni dell’Artista e della moglie Teresa Astarita, diplomi, certificati e fotografie. Fino alla morte, nel 1945, Giannelli si occupa personalmente di questa sua creatura, collocata provvisoriamente dapprima nella scuola elementare, poi, fino al 1917, nell’Istituto d’Arte.
Oggi la collezione Giannelli trova finalmente un’adeguata sistemazione nell’elegante Palazzo Ferrari, di recente restaurato, coniugando così i due nomi della famiglia e rispondendo alle più profonde aspirazioni del generoso donatore.
Costituita nella sua parte più importante da quarantatre quadri e dieci sculture di scuola napoletana tra Otto e Novecento, la raccolta Giannelli rappresenta una piccola preziosa testimonianza (ed unica nel Salento) della temperie artistica di un’epoca che vide, per la Puglia, l’indiscutibile egemonia culturale partenopea.
Mentre di solito i lasciti di artisti o di loro eredi sono formati esclusivamente da opere del donatore (vedi, per i musei pugliesi, le collezioni Filippo Cifariello, Damasco Bianchi, Enrico Castellaneta per la Pinacoteca di Bari, Giuseppe De Nittis per Barletta), la raccolta di Parabita, oltre a comprendere un corpus di tredici opere del titolare, propone una campionatura della migliore produzione artistica del tempo. Le scelte di Giannelli, al di là delle mode, sono indicative di un gusto sicuro, sostenuto da competenza e sensibilità e determinato probabilmente anche da relazioni personali. Così farebbe pensare la presenza di alcune dediche e di ben otto opere di Giuseppe Costa, cui vennero commissionati cinque ritratti di famiglia, tranne quello dello stesso Enrico Giannelli, opera di Vincenzo Caprile.
Lo spazio più ampio viene riservato alla pittura di paesaggio, che tra gli altri annovera un delicato pastello del 1906 di Giuseppe Casciaro, rivelando così le più spiccate preferenze di Giannelli, Egli stesso sensibile e delicato interprete del paesaggio napoletano e, ne Il Capo di Leuca dalla marina di Castro, di quello salentino. Al di là di ogni interesse descrittivo, queste opere sembrano dare forma e colore oltre che alle infinite modulazioni della luce e dell’atmosfera, a pensieri ed emozioni profonde: veri paesaggi dell’anima.

Marina Pizzarelli 


Tutti i diritti riservati 

Nessun commento:

Posta un commento