domenica 24 febbraio 2013

Giorgio Barba. Cesare Piscopo e le pulsioni dell'anima





Un quadro è un frammento visibile dell’anima, un pezzo irregolare di specchio che riflette in modo parziale e sfumato i sentimenti che non prendono forma e consistenza, ma restano vaghi e indefiniti, aleatori e casuali. Quando un artista si mette davanti ad una superficie pittorica, ha di fronte a sé una dimensione vuota, che risucchia in maniera centripeta la luce e il buio, la materia e l’antimateria. L'abilità dell’artista sta proprio nell’invertire la forza di attrazione e nel fare uscire dalla tela o dalla carta l’invisibile, l’innominabile, l’inconoscibile, ricorrendo ad una forza centrifuga che materializzi i sentimenti e dia sostanza alle immagini proteiformi che vagano nell’inconscio alla ricerca di una identità, mediante un processo che arreca tormento ed estasi, gioia e dolore, delusione e felicità.
Ed è con questo stato d’animo che Cesare Piscopo, nella sua più recente produzione pittorica, affronta la marea bianca della carta (o della tela) e da essa trae figure come in sogno, figure in attesa, pronte a venir fuori dalla grezza materia, a prendere colore e a urlare la loro disperazione. Emblematica a questo proposito una sua poesia, Attesa, tratta dalla recente pubblicazione Dal profondo Sud:

Ombre in fuga verso il paese

Volti di pietra
plasmati dal sole

Fiori che gridano
Il loro dolore

Come non riconoscere in questi versi l’arte di Cesare Piscopo? Infatti i visi delle donne dipinti dall’artista sembrano scavati nella pietra, tormentati e angosciati da paure ancestrali e dal timore di un futuro privo di umanità e dominato dal caos dell’incertezza e della bestialità. In quei volti e in quei corpi si possono percepire le pulsioni dell’anima e le inquietudini oscure della mente. Molteplici sentimenti si accumulano per dare vita e, quindi, forma all’inespresso e all’inesprimibile. Quelle figure sembrano contenere una vitalità prorompente limitata da un corpo-prigione che impedisce ai veri sentimenti di emergere. Così le sue creature si rinchiudono in sé stesse,  rifiutandosi di comunicare, di emanare il primitivo fluido che esiste in ogni essere vivente. E’ come se Piscopo riuscisse a fotografare l’aura dell’anima con la tecnica Kirlian, mettendo a nudo non la fisicità, la corporeità, ma l’immateriale, il non visibile. Le ombre in fuga della poesia non sono altro che le donne raffigurate nei suoi dipinti, “volti di pietra” e fiori disfatti, prive di sensualità e dalle fattezze vaghe e incerte, come viste attraverso un vetro smerigliato che le sforma e le deforma. Sono le donne di un Sud ancorato alle tradizioni, che relegano la figura femminile nel limbo dell’anonimato e dell’indifferenza. Sono donne che “urlano” e chiedono la possibilità di vivere un’esistenza visibile e perfetta. Inquietudine esistenziale e protesta sociale si fondono insieme nei quadri di Piscopo che colloca l’immagine femminile dai colori forti in un’atmosfera cupa e oppressiva che accentua le distorsioni formali e utilizza il germogliare della donna-fiore-lemure pietrificato.
Persino nei paesaggi c’è una forte esigenza di sfuggire da una dimensione spaziale e temporale ben precisa, vi è un identificarsi con gli alberi, anzi un prendere vita dagli alberi stessi. Si avverte la suggestione di una metamorfosi di anime per implorare un gesto di indulgenza nella disperazione esistenziale, un “momento aurorale” di rinascita, anzi di nascita per divincolarsi dal groviglio avviluppante del vago.
Naturalmente la mia è solo una chiave di lettura della weltanschauung di Cesare Piscopo, un’interpretazione parziale, che suggerisce un percorso, un itinerario probabile, ma non la strada certa. Per questo motivo ho pensato di porre alcune domande all’artista che così potrà esplicitare le sue idee.

*Come considera la sua arte?
-Come un albero le cui radici rappresentano la realtà , il fusto e i rami la mia sensibilità, le foglie il prodotto artistico finale.
*Mario De Marco nella presentazione di apertura della mostra di Lecce ha parlato di una sorta di “trance” alla base del suo modo di fare arte. E’ d’accordo con questa interpretazione?
-Sono d’accordo, a patto che si tenga in giusto conto anche il lavoro preparatorio e l’intervento del controllo razionale necessario per “completare” l’opera.
*Perché lei, spesso, contorna le sue donne nude con linee nere ben marcate, mentre poi non le caratterizza con elementi fisici ben definiti?
-Le linee di contorno, quando sono presenti, tendono a catturare il perenne fluire delle forme.
*Quali significati assumono, per lei, gli “spazi aurorali” presenti nei suoi paesaggi?
-Esprimono la speranza di una convivenza più equilibrata ed armoniosa fra l’uomo e la natura.
*Quali possono essere gli sviluppi futuri della sua arte?
-Un riflesso sempre più puro di ciò che osservo, penso e sogno.

Per concludere, vorrei citare una poesia dell’artista, particolarmente significativa in quanto compendia la sua visione dell’arte:

Difficile dare forma
alle indefinibili vibrazioni
dell’animo

Ho provato
ad abbozzare una traccia
traiettoria del mondo
che vive fuori e dentro di me

Giorgio Barba (1998)









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