In virtù della mia passione per l’archeologia, mai sopita, spesso mi recavo con mio figlio Antonio Cesare ed il mio amico Antonio Greco, di Parabita, a visitare vari siti e grotte esistenti nei dintorni del Salento.
Un giorno di dicembre del 1965, Antonio Greco mi indicò
una grotta nei pressi di Tuglie, in agro di Parabita, denominata Grotta li Monaci che, in seguito alla
scoperta delle Veneri, fu ribattezzata dal prof. Antonio Radmilli Grotta delle Veneri. Essa è situata
sulle pendici di una catena di colline che sono distribuite lungo la penisola
salentina, fino al Capo di Leuca. Ci
recammo insieme sul posto e notammo che di tale grotta gran parte del vano
antistante era crollata ed il proprietario, per accedere al resto della stessa,
aveva allargato l’apertura esistente. Buona parte del materiale di scavo, fino a circa
un metro di profondità, era stato accumulato accanto all’apertura della grotta.
Iniziammo nei giorni successivi le ricerche a cui presero parte il già citato professore Antonio Greco, il professore Giuseppe Coluccia da Spongano e mio figlio Antonio Cesare, allora studente. All'interno della grotta, si aprivano dal vano centrale strettissimi e corti corridoi. Furono eseguiti saggi sul terreno a diverse profondità, passando poi al setaccio quel materiale iniziale che via via mostrava notevole interesse per l’abbondante presenza di numerose schegge di ossidiana, nonché frammenti di manufatti in terracotta e comunque un miscuglio di appartenenze a varie epoche. Pertanto, in seguito, ritenemmo opportuno ricorrere all’aiuto di alcuni operai di Tuglie. Il materiale vagliato veniva trasportato in casa mia onde poterlo esaminare con maggiore serenità. Qui, in un giorno d’autunno del 1966 venne fuori la prima statuina, quella più piccola (alta 6,1 cm. e larga 1,5 cm), alla quale inizialmente non attribuii grande importanza ritenendola un punteruolo di età neolitica. Allorché in un secondo momento venne fuori la seconda statuina, poco più grande (alta 9 cm. e larga 2) ma anche più realistica, cominciai a riflettere sulle sue forme e le eventuali funzioni cui era stata elaborata. Ambedue furono probabilmente ricavate da schegge ossee di bue o di cavallo.
Qualche giorno dopo mostrai le due figurine al prof. Antonio Pagliara dell’Università di Lecce, il quale immediatamente interessò il professore Antonio Radmilli dell’Università di Pisa, incaricato anche all’Università di Lecce. Quest’ultimo, fortemente sorpreso, segnalò subito il caso all’Università di Pisa onde ricevere i fondi necessari per una conseguente e normale campagna di scavi. Le “Veneri” furono successivamente consegnate al professore Stazio, allora sovrintendente del Museo di Taranto, dove si trovano tuttora.
Non si conosce l’esatta giacitura delle due “Veneri”, ma tracce di terreno aderenti al tessuto osseo permettono di attribuirle al periodo compreso tra il Gravettiano evoluto e l’Epigravettiano.
Giuseppe Piscopo (2011)
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