sabato 16 febbraio 2013

Alfredo Ligori. Giuseppe Piscopo: l’uomo e l’artista.





Giuseppe Piscopo non ha bisogno di presentazioni, è nome ampiamente noto, sia tra gli addetti ai lavori, sia tra gli appassionati ed i collezionisti d'arte moderna. Già da tempo le sue opere si sono imposte all'attenzione di critici e di collezionisti, inserendosi nei grandi circuiti di divulgazione e liberandosi di quella etichetta di provincialismo spesso affibbiata a molti artisti incompiuti.
Pittore di preminente vocazione naturalista e di fine sensibilità cromatica, è nella scultura che riesce ad esprimere appieno la sua straordinaria capacità di introduzione psicologica, volta alla ricerca del più intimo segreto che si possa nascondere tra le pieghe dell'animo umano. E il frutto di questo suo indagare, scavare, mettere a nudo l'essenza più vera e profonda dell'uomo si concretizza in forme plastiche di una essenzialità e di una incisività sorprendenti. Ma attenzione! Piscopo non è un artista naif, la sua apparente "ingenuità" e la sua accentuata tendenza alla semplificazione ed alla sintesi espressive non sono affatto spontanee, istintive, bensì il risultato di un lungo e sofferto travaglio interiore, alimentato da un background culturale di notevole spessore.
Ma per meglio comprendere la valenza e il significato della sua opera è utile abbassare la maschera dell'artista per scoprire com'è l'uomo che si cela dietro. Il "professore", come un pò tutti nella sua Parabita lo chiamano con deferente affetto, è persona estroversa, naturalmente disposta a cogliere gli aspetti migliori della vita, dal tratto affabile e dall'umanità che traspira da ogni poro della pelle, ma dalla forte personalità. La naturale curiosità intellettuale, la vasta cultura umanistica e scientifica, la multiforme versatilità e l'inesauribile vitalità gli hanno consentito molteplici esperienze di vita e di lavoro che lo hanno portato, di volta in volta, ad essere insegnante, preside, naturalista, speleologo ed archeologo dilettante, intenditore e collezionista antiquario...e chissà quante altre cose ancora.
Questo, dunque, il terreno dove affondano le radici della sua arte ed è a questo ricchissimo patrimonio culturale ed umano che egli attinge a piene mani per trarre motivazioni e spunti per le sue creazioni, spaziando a tutto campo dall'archeologia alla storia contemporanea, dall'antropologia all'etnografia, alla storia dell'arte. Non senza però il filtro della sua originalissima interpretazione e rielaborazione. Frequenti ed evidentissimi, infatti, sono i riferimenti all'arte primitiva ( per esempio alle famose Veneri di Parabita, due statuette paleolitiche che rappresentano la figura femminile con pancia e glutei esageratamente evidenziati, simboli di fertilità), al mondo classico con i suoi rigidi canoni della bellezza ideale, ai vari movimenti artistici che hanno caratterizzato il XIX ed il XX secolo (dall'impressionismo all'espressionismo, dal verismo al cubismo). Ma qual'è il tema di fondo, il filo conduttore che lega l'intera opera del Piscopo? Quale la filosofia che la sottende e che ne costituisce l'asse portante?
E' senz'altro l'uomo e la sua centralità cosmica. L'uomo, eterno protagonista nel bene e nel male, sempre e comunque l'uomo, con le sue contraddizioni, le sue speranze, le sue illusioni, le sue certezze, i suoi dubbi, le sue angosce, la sua fragilità, la sua crudeltà, la sua tenerezza. L'uomo, capace di raggiungere le vette più alte della generosità e dell'amore, per poi sprofondare negli abissi più profondi dell'egoismo e dell'odio. Si spiega così la tendenza piuttosto marcata, a tratti esasperata e quasi ossessiva, ad approfondire e sottolineare gli elementi psicologici della personalità: visi spenti dalla disperazione o illuminati dall'amore, corpi esacerbati dalla sofferenza o addolciti dalla sensualità; e dietro ogni figura, dietro ogni personaggio si percepisce netta tutta la spiritualità dell’artista che con occhio ora sornione ed ironico, ora appassionato e pietoso, ora complice e intrigante, ora compiaciuto ed indulgente, testimonia e partecipa in una altalena di sensazioni, di stati d’animo e di atteggiamenti, dosati con sapiente equilibrio. E, come leitmotiv, una malinconia di fondo, discreta, appena accennata, dolcemente adagiata come coltre leggera, impalpabile, ad avviluppare tutto e tutti di una rarefatta atmosfera di struggente languidità. Nessun manierismo, beninteso, nessuna leziosità, perché le terrecotte del Piscopo si contraddistinguono per l’estremo rigore formale che nulla concede alla captatio benevolentiae, agli accorgimenti, cioè, posti in essere nell’intento di impressionare e sedurre il pubblico; talchè risultano prive di ogni ammiccamento, di ogni affettazione, di ogni ridondanza, di tutto ciò, insomma, che non è essenziale e funzionale alla scarna sintassi espressiva adottata, di facile ed immediata leggibilità. E già, perché al nostro riesce tutto con semplicità e naturalezza, non gli succede mai di scadere nella retorica o di andare al di sopra delle righe, con quella misurata pacatezza o quell’imperturbabile serenità, in una parola, con quell’aplomb da perfetto gentiluomo che gli è proprio, temperato, però, dal sangue caliente che scorre nelle sue vene e dalle emozioni forti che solo la gente del Sud sa provare e comunicare.

Alfredo Ligori (tratto dal catalogo Giuseppe Piscopo. XXII Mostra dell'Artigianato della Terracotta; Cutrofiano 7-25 agosto 1994)




Ritratto di Giuseppe Piscopo


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