domenica 17 febbraio 2013

Alfredo Ligori. Incontro con l’artista Giuseppe Piscopo






Nel corso di una recente visita al laboratorio-galleria di Giuseppe Piscopo, ho avuto modo di scambiare con lui quattro chiacchiere, così come si fa tra amici. Più che di un’intervista vera e propria, quindi, si è trattato di una conversazione informale, spontanea, senza domande predisposte e senza risposte meditate. Eccone il testo.

D. Il Piscopo scultore utilizza i materiali più disparati, dal tufo al cemento, dal legno alla carta…, persino pezzi di telaio, ma l’argilla è di gran lunga il più utilizzato. C’è un motivo?

R. Io amo tutte le arti, per almeno venti autentici motivi.
Amo la creta di più tra tutti i materiali che da oltre mezzo secolo cerco di usare per intimo e indispensabile bisogno di esternare i miei sentimenti, gioie e dolori. Ma, soprattutto, dicevo, ho amato e amo la creta. Che gran godimento affondare le mani in un certo modo nella creta molle e poi toglierle e scoprire in quelle impronte una figura, un viso pieno di sofferenza o di felicità, il corpo di una donna, due, tre…e dare sfogo alla fantasia e all’immaginazione! Può darsi che, pur con i successivi interventi, non venga fuori nulla di buono, ma può anche darsi che, da una di quelle impronte, nasca lo spunto, l’idea per la realizzazione di una determinata figura, oppure (e perché no?) di un’opera astratta.

D. Tuttavia, la sua resta una scultura eminentemente figurativa, con esclusione pressocchè totale di ogni elemento astratto o informale. Perché questa scelta di campo?

R. In verità, pur riconoscendo che certe forme astratte mi suggestionano non poco, rimango convinto che la scultura più valida è e rimarrà sempre quella figurativa. Il mio maggiore interesse, quindi, è rivolto soprattutto alla figura umana e in particolare a quella femminile: mi sembra che in una figura femminile si possa leggere molto del mondo e della vita, dalle oscure, misteriose germinazioni, alla dolcezza, al dolore, al piacere, alla realtà della vita stessa.

D. Dove trova gli spunti per l’ispirazione?

R. A volte trovo fonte d’ispirazione nell’angoscia della lotta per sopravvivere, nel dramma che talvolta si cela sotto i più dolci nomi, come cuore, maternità, nelle diverse verità dell’oppressore e dell’oppresso e financo nella patecità di certe finzioni che l’uomo si concede. La scultura allora diventa per me un fatto vivo, legato ad un contenuto in rapporto ai valori umani, alla realtà del nostro tempo.

D. Molte delle sue opere hanno qualcosa d’incompiuto o addirittura risultano appena abbozzate, quasi a voler mettere in secondo piano gli elementi formali, stilistici. Perché?

R. Non amo la forma per la forma, bensì per il suo contenuto: nei ritratti, in special modo, più che la somiglianza, cerco di cogliere qualche particolare fisionomico che metta in risalto la personalità del soggetto, tenendo sempre presente che sia i ritratti che le figure, in qualsiasi modo o mezzo concepiti, non possono essere privi di umanità, semplicità e naturalezza, in una parola, della poesia che caratterizza la vera opera d’arte.

D. Se dovesse riassumere la sua arte in una sola frase, come la definirebbe?

R. Sono convinto che i migliori pensieri sull’arte di un artista sono sempre le sue stesse opere.

D. Io penso che questo slogan potrebbe calzarle a pennello: “ascoltare l’anima e dar voce ai sentimenti”. Lo ritiene azzeccato?

R. Sì, perché l’arte non può che essere lo specchio dell’anima e tutte le mie opere sono sentimenti, emozioni, stati d’animo, che si materializzano e prendono forma.  

Alfredo Ligori (tratto dal catalogo Giuseppe Piscopo. XXII Mostra dell’Artigianato della Terracotta; Cutrofiano 7-25 agosto 1994)






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