Cesare Piscopo, parabitano,
è una figura di un certo spessore artistico, poiché oltre a essere pittore, già
apprezzato a suo tempo dal grande artista austriaco Oskar Kokoschka, è anche
scultore, poeta e già docente di Educazione artistica. Ha pubblicato Fili d’erba (1996), Dal profondo Sud (1998), Il
mare dell’amore (2006), Messaggi dal
mare (2007), e recentemente l’antologia
Sotto le silenziose nuvole un mare di pensieri. Dal 1963 espone con
successo in varie mostre e le sue opere sono esposte in collezioni pubbliche e
private, in Italia e all’estero.
Dopo un’attenta ricerca
sull’astratto, Cesare Piscopo è passato alla figura umana analizzata nelle sue
forme espressive, per poi approdare allo studio del paesaggio. La sua
attenzione ora si concentra sul mare. Non a caso, vari titoli di sue opere sono
un costante richiamo a questo elemento paesaggistico. Penso al Canto notturno del mare; Il mare di Vincent;
Mare in tempesta; Movimento di vita; Altomare; Mare d’inverno; Natura la tua
bellezza ci commuove; Oltremare; Il cielo e il mare di Leuca. Perché
proprio il mare? Piscopo lo spiega molto bene. Il mare è sinonimo di forza e di
energia che penetra ogni forma di vita; è specchio e luogo dell’anima. Il suo è
un paesaggio-stato d’animo come allude in una sua poesia…Tutto tace mentre
ascolto il mare e i chiassosi tumulti del mio cuore…In un’altra della
raccolta Messaggi dal mare esalta i
colori che sono come il mare, ti accarezzano, ti sconvolgono si sciolgono in
luce, un mare di luce.
Osservando queste sue
opere, l’osservatore sembra quasi essere travolto dal turbinio dei flutti e la stessa pennellata, a
tratti materica e virulenta riesce a trasmettere una intensa carica emotiva. La
forza del colore è tale che esso stesso sembra trasformarsi in acqua, diventa
insomma una sorta di metaplasma, come è stato definito da Cesare
Padovani.
Il paesaggio marino di
Cesare Piscopo, realizzato come fosse un ritaglio, non è certamente reale, ma
interiorizzato, reinventato e rivissuto liricamente. E’un paesaggio quasi visionario
e trasfigurato, filtrato attraverso la propria sensibilità, che determina a
tratti un linguaggio cromatico tutto particolare. Penso per esempio a quella
linea di orizzonte che a volte viene ombreggiata o marcata di nero, quasi a significare che oltre c’è il vuoto e il
nulla. In effetti Piscopo considera la realtà in continuo divenire dove l’essenza
del tutto è il vuoto. Con questo mare l’artista entra in simbiosi e opera
una fusione, una sorta diremmo quasi di panismo dannunziano; sono significativi
i versi di una sua poesia… Seguirò l’istinto. Ti porterò al mare di
notte…saremo acqua e roccia e nuvole sovrapposte…
Il mare di Piscopo potremmo
infine definirlo una sorta di Eden o meglio di felicità naturale dove, per
usare un termine montaliano, gli ossi di seppia possono galleggiare felicemente
prima di essere sbattuti sulla spiaggia e per citare i versi del Leopardi potremmo
veramente dire “…il naufragar m’è dolce in questo mare…”. Qui sta la novità di Cesare
Piscopo: la sua sensibilità é romantica, ma viene rivissuta in una prospettiva
artistica tutta moderna e originale.
Francesco Fersini (introduzione
alla mostra di Cesare Piscopo a Leuca.; Auditorium Chiesa Cristo Re - Luglio
2009).
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