Ricordo
che un’amica straniera in visita per la prima volta ad Otranto mi diceva:
“Siete fortunati voi Salentini ad avere una luce così. Noi non siamo abituati.
E’ una cosa speciale”. E continuava: “Altrove nell’Italia di lassù, le messi
non rifulgono in questo modo sugli avvallamenti e poi sui piani sterminati”
citando Antonicelli che chissà come si era procurato e aveva letto in edizione
originale, prima di affrontare l’ultima parte del suo viaggio.
Ecco, è
proprio sulla luce che si concentra questa mia riflessione intorno a Cesare
Piscopo, alla sua capacità di suscitare emozioni stendendo in un certo modo il
colore sulla tela, insistendo su un paesaggio che forse non ritrovi subito
guardandoti intorno, ma certamente se cerchi in te stesso. Di lui conoscevo
alcune già folgoranti esperienze giovanili che preannunziavano gli studi di
questi anni; e conservo un delicato acquerello siglato Napoli 1968, che a
vederlo ogni volta mi regala luce e poesia.
Oggi lo
trovo, questo modo di esprimersi misurato e romantico, nel mare di diversi
colori, che potrebbe non sembrare credibile, ma è tutto di qui, della costiera
fra Castro e S. Maria di Leuca.
Piscopo
lavora e si strugge sulla luce. Il mare può essere nero e variare nei toni del
verde e dell’azzurro: poi spunta il bianco e si nasconde; compare l’arancio, si
avvita in tre o quattro pennellate e si perde nel giallo che strappa
l’applauso: come in una danza vorticosa e imprevedibile, variopinta, che induce
l’occhio a percorrere in tutti i sensi la tela senza fermarsi.
Il sole
abbandona presto gli scogli del Ciolo e se ne va sullo Jonio a ravvivarne i
riflessi, ma le ombre non sono mai prevalenti, nemmeno nel cuore della pietra,
dove dormono le Veneri steatopigie e le Madonne bizantine. Anzi sono amiche,
come scrive Gatto a Lucugnano: "E il paesaggio si esalta al mattino,
saziandosi di luce".
Cesare
Piscopo cattura questa luce e si interroga. Si interroga sul paesaggio stesso
che connota una terra orgogliosa e millenaria, alla ricerca di una formula che
ne interpreti il messaggio cifrato. Accetta la sfida della poesia, anche lui
poeta di versi oltre che di colori, ed ingaggia una lotta impari con gli
elementi della natura incapaci di stare fermi, ma che vuole a tutti i costi
fissare nei suoi quadri. Poi torna nuovamente alla luce e si riposa.
Di questi
riposi, di queste oasi tranquille, è fatta la sua arte che crea in lieta
armonia, in perfetta sintesi sentimentale con la sua idea del Salento. Se legge
il mare, o ascolta il cielo, se trasforma in sogno la terra o si arrampica
sulla scala dei colori, non posso che condividerne le scelte istintivamente.
Come d’istinto ho amato le sue cose, acquerelli, olii, sculture, poesie, e sono
qui a renderne pubblica testimonianza.
Alessandro Laporta (Introduzione alla mostra di Cesare Piscopo “Il paesaggio, la luce della poesia; Palazzo Comi, Lucugnano – 2005).
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