E’ una
storia bella e insolita quella del Museo Giannelli di Parabita, istituito nel
lontano 1924 per volontà e generosità di Enrico Giannelli, pittore, studioso d’arte
e di numismatica, collezionista: bella e insolita perché nasce da una grande
passione e dal nobile desiderio di farne partecipe il prossimo; perché supera l’interesse
materiale, il pur legittimo senso del possesso personale, per rendere pubblico
un bene raccolto in lunghi anni di amorevole ricerca; perché capace, infine, di
dare l’avvio ad un processo di sensibilizzazione e condivisione di quell’idea.
Ed è una storia che sorprende non solo per le ragioni su elencate, ma per la
scoperta di una realtà inaspettata in un luogo marginale ed in un momento
storico poco propizio alle aperture culturali, quando l’Italietta post-risorgimentale
si affacciava al nuovo secolo. Che ci fosse nel codice genetico di Enrico
Giannelli e nella sua formazione una predisposizione verso ideali di rinnovamento
e apertura sociale che confluiscono in una visione culturale illuminata, trova
conferma nella sua ascendenza familiare. Suo padre, Andrea Giannelli
(1821/1921), medico e patriota, aveva lottato per la causa risorgimentale
combattendo volontario nella I Guerra di Indipendenza, era stato perseguitato
dalla polizia borbonica e infine esiliato nello Stato Pontificio. Ritornato nel
Salento, aveva sposato donna Agnese Ferrari dei duchi di Parabita, da cui il 30
settembre 1854, ad Alezio, era nato Enrico.
Avviato agli
studi classici presso il liceo ginnasio Capece di Maglie, il giovane Giannelli
vi incontra come professore Paolo Emilio Stasi, artista di formazione
napoletana alla scuola di Giuseppe Mancinelli. Insegnante dotato di profondo
intuito (sarà responsabile dell’educazione dei più giovani Giuseppe Casciaro e
Michele Palumbo), Stasi indirizza il suo allievo verso gli studi artistici che
puntualmente avverranno nell’Istituto di Belle Arti di Napoli, sotto la guida
del paesaggista Gabriele Smargiassi, seguace della scuola di Posillipo (1874).
Ha inizio
così per Enrico Giannelli un soggiorno napoletano all’incirca trentennale
caratterizzato, dopo il diploma e l’abilitazione, dall’insegnamento di disegno
nella Reale Scuola Superiore di Agricoltura a Portici (1882/1896) e dall’incarico
di segretario della Promotrice di Belle Arti “Salvator Rosa” a Napoli (1904/1911). Intreccia in
questo periodo una rete di frequentazioni nell’ambiente artistico-culturale
locale, importante per la formazione di quelle competenze che utilizzerà nella
sua pittura e nelle scelte per la collezione di quadri e sculture che andava
formando.
Si delinea
così quell’identità particolare e composita di Giannelli: nobiluomo di
provincia e insieme personaggio di larghe vedute, capace organizzatore e
animatore culturale; raffinato studioso e artista di sapiente mestiere;
generoso divulgatore della sua collezione e orgoglioso custode di un nome che
volle per sempre legato ad essa. Forte di un patrimonio di preziose esperienze,
Enrico Giannelli è pronto, ritornato a Parabita, ad investire nella sua terra.
Convinto sostenitore della necessità di decentrare le istituzioni di formazione
artistica, fonda nel 1908 la “Scuola serale di disegno applicato alle arti”, di
cui sarà direttore, primo nucleo dell’attuale Istituto Statale d’Arte a lui
meritatamente intitolato. Da lì usciranno schiere di artisti-artigiani la cui
bravura e finezza tecnica ha lasciato il segno nell’arredo pubblico e privato
della città. Nel 1916 pubblica il volume
Artisti napoletani viventi, pittori, scultori ed architetti, dove
confluiscono tutte le preziose conoscenze di cui è depositario. Esperto di
numismatica, è autore dei Disegni a penna
di monete dei Re di Napoli e di Sicilia, premiato con diploma d’onore.
E’ del 1922
il primo documento di donazione al Comune di Parabita della Collezione di
quadri e sculture denominata Raccolta di
opere d’arte “Enrico Giannelli”, che si concretizzerà il 23 luglio 1924 con
atto del notaio Giorgio Motta, durante l’amministrazione del sindaco Giuseppe
Vinci. A questa prima donazione segue nel 1941 quella della biblioteca di libri
d’arte e di numismatica, insieme ad una raccolta di disegni dell’Artista e
della moglie Teresa Astarita, diplomi, certificati e fotografie. Fino alla
morte, nel 1945, Giannelli si occupa personalmente di questa sua creatura,
collocata provvisoriamente dapprima nella scuola elementare, poi, fino al 1917, nell’Istituto d’Arte.
Oggi la
collezione Giannelli trova finalmente un’adeguata sistemazione nell’elegante
Palazzo Ferrari, di recente restaurato, coniugando così i due nomi della
famiglia e rispondendo alle più profonde aspirazioni del generoso donatore.
Costituita
nella sua parte più importante da quarantatre quadri e dieci sculture di scuola
napoletana tra Otto e Novecento, la raccolta Giannelli rappresenta una piccola
preziosa testimonianza (ed unica nel Salento) della temperie artistica di un’epoca
che vide, per la Puglia, l’indiscutibile egemonia culturale partenopea.
Mentre di
solito i lasciti di artisti o di loro eredi sono formati esclusivamente da
opere del donatore (vedi, per i musei pugliesi, le collezioni Filippo Cifariello,
Damasco Bianchi, Enrico Castellaneta per la Pinacoteca di Bari, Giuseppe De
Nittis per Barletta), la raccolta di Parabita, oltre a comprendere un corpus di
tredici opere del titolare, propone una campionatura della migliore produzione
artistica del tempo. Le scelte di Giannelli, al di là delle mode, sono
indicative di un gusto sicuro, sostenuto da competenza e sensibilità e
determinato probabilmente anche da relazioni personali. Così farebbe pensare la
presenza di alcune dediche e di ben otto opere di Giuseppe Costa, cui vennero
commissionati cinque ritratti di famiglia, tranne quello dello stesso Enrico
Giannelli, opera di Vincenzo Caprile.
Lo spazio
più ampio viene riservato alla pittura di paesaggio, che tra gli altri annovera
un delicato pastello del 1906 di Giuseppe Casciaro, rivelando così le più spiccate
preferenze di Giannelli, Egli stesso sensibile e delicato interprete del
paesaggio napoletano e, ne Il Capo di
Leuca dalla marina di Castro, di quello salentino. Al di là di ogni
interesse descrittivo, queste opere sembrano dare forma e colore oltre che alle
infinite modulazioni della luce e dell’atmosfera, a pensieri ed emozioni profonde: veri paesaggi
dell’anima.
Marina Pizzarelli
Tutti i diritti riservati
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