martedì 4 novembre 2014

Cesare Piscopo. L'inquieto mare del mutamento



 L’arte è l’unione intima dell’uomo con la natura
(V. Van Gogh)

I primi importanti insediamenti umani si sono formati in zone rivierasche. Attraverso il mare le più antiche civiltà si diffusero verso nuove terre, colonizzandole non sempre incruentemente.
***
Il territorio collinare di Parabita (nel bellissimo Salento), mio luogo d’origine, offre una visionepanoramica molto suggestiva di un paesaggio che ha come sfondo il mare. In questo sito, in una grotta, sono state rinvenute due statuine in osso del Paleolitico superiore, denominate le Veneri di Parabita. (Venere steatopigia, è il nome dato a quel tipo di statuette femminili di epoca preistorica, legate alla terra e alla vita, considerate il primitivo simbolo della fertilità e caratterizzate dall’adiposità delle regioni glutee).
Attraverso la dea Venere, nata dalla spuma del mare, gli antichi Romani avevano messo in relazione il mare (natura) con l'amore e la bellezza. Effettivamente il mare e l’amore hanno qualcosa in comune. Il mare, come l’amore, è fonte di vita; come l’amore, fa rinascere e rigenerare; come l’amore, è fonte inesauribile di emozioni; come l’amore, ha una forza, un’energia immensa, travolgente, impetuosa; come l’amore, spinge all’unione e all’armonia.
E’ sicuramente amore, un amore speciale, la fusione presente in molti dipinti e poesie soprattutto orientali tra la natura e l’uomo, tra le forme del mondo e lo spirito e gli affetti degli umani. La bellezza di un mare incontaminato oggi è un sogno. Vittima e carnefice nello stesso tempo, l'uomo è artefice di profonde alterazioni e contaminazioni ambientali. Tuttavia, come ha dichiarato lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, la bellezza è anche il sentimento della tristezza, della desolazione. La bellezza non è solo bellezza, ma enigma, mistero. Il mare ha sempre attratto l’uomo per le sue caratteristiche: la vastità, la mutevolezza del colore, il mistero dei suoi abissi, il movimento incessante delle onde, la fluida e trasparente massa d’acqua con cui giocare e nuotare. …Sentirsi flutto, tuffarvisi dentro, essere preso fisicamente dai cavalloni, divenire natante, nuotare tra quelle spume, gli spruzzi, i vapori, cristalli perlacei, farsi portare dagli sciabordii sulle risacche, rituffarsi, risalire, naufragare, respirare, leccarsi le labbra…tutte queste percezioni fanno parte dell’incessante ciclo delle maree, ma anche dell’esistenza. Così ha scritto Cesare Padovani in occasione della mia mostra a San Marino, nel 2007.
Il mare, costituisce un tema ricorrente nella pittura di ogni epoca.
La veduta di un paesaggio (marino o altro) può anche far sognare. Dipinti di tutte le epoche, realistici o simbolici, evocano paesaggi armoniosi e incontaminati che invitano a evadere, con la fantasia, dalla vita quotidiana.
La visione del mare (e della natura in generale) ha inciso notevolmente sull’animo romantico, risvegliando risonanze profonde e suggerendo all’artista il vero compito di un’opera d’arte: “Riconoscere, penetrare, accogliere e riprodurre lo spirito della natura con tutto il cuore e con tutta l’anima” (C. D. Friedrich).

Dalla bellezza (intesa come libera e spontanea espressione del proprio mondo interiore) e dall’amore verso la natura, prendono avvio gli argomenti e i contenuti dell’attuale mia ricerca artistica, che si fonda sul paesaggio marino. I miei dipinti, creati nell’isolamento del mio studio, sulla scorta di schizzi, ricordi o suggerimenti della fantasia, non sono vedute o panorami nel senso classico, piuttosto esprimono la mia volontà di entrare in una specie di contatto spirituale con i luoghi. Pur conservando nell’immagine elementi di riconoscibilità, sento l’esigenza di andare oltre la realtà fenomenica, per indagare attraverso il colore (spirito e materia) la più complessa realtà interiore, rivalutando l’istinto, il pathos, lo stato d’animo, l’espressività, le pure emozioni suscitate dal contatto diretto con la natura. Il paesaggio diviene un soggetto in grado di comunicare una particolare visione del mondo.

Baudelaire ha scritto: Uomo libero, amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio, tu contempli la tua anima nell'infinito svolgersi dell'onda.

Il mare è anche la mia storia, la mia esperienza, un brano di me stesso: lo specchio della mia anima!

Cesare Piscopo

domenica 5 ottobre 2014

Cesare Piscopo. Poetica-mente






Puro
errabondo e visionario
sos-pinto dalle correnti d'acqua

Sospeso fra l'essere e il nulla

Di porto in porto
in beata solitudine



Ieri sera ho stappato una bottiglia di vino
quel vino del Salento che ti piace tanto

Eravamo in quattro
io e mia moglie
tu e il mare



Notte d'amore
Alta e bassa marea
La luna scompare dietro gli olivi



L'estate sta passando
diviene
la natura
un corrisposto misterioso
viaggio
(lo compio anch'io)

Tutto è un (dolce) vagar
di qua e là
in alto e in basso

Qualcosa perdo
qualcosa acquisto

Vita mia che porti?
A chi importi?

Venite orizzonti
scaricate velocemente
il passato il futuro
è già presente



C'è nei tuoi occhi
qualcosa che richiama
il mare
acque verdi e azzurrine
dolci e salate
trasparenti e profonde

C'è nei tuoi occhi
una forza di attrazione
che tutto risolve
in lirico canto
in estasi d'amore



Come onde del mare
la musica si propaga
Come il vento che corre nell'aria
portando con sé
solo note di felicità

Questa sera ho suonato per te
ho suonato la chitarra per te
per vederti arrivare dal mare
come una Sirena!



Non aspettarti
necessariamente
una risposta

Il vero amore
ama il silenzio



La poesia più bella
è scritta dal tuono
che scuote l'aria
dalla pioggia
che allatta la Terra
da quell'onda
che il mare disperde
in un sogno infinito
di un cielo stellato



Rompere il silenzio
senza ulteriori indugi

Lasciar parlare
il vento
il mare
la luna
il cuore

Tu mi dici
sei pazzo
io rispondo
ti amo!



Ho provato a parlarti
d'amore
ma tu non ascoltavi

Allora ho cercato in te
il vuoto
ed io ho trovato
il mondo



I tuoi silenzi
sono nuvole

Piovono sul mio cuore
gocce di illusioni



T'amo e non t'amo
cos'è l'amore?

Sei mia e non sei mia
cos'è il possesso?

Ti voglio e non ti voglio
cos'è il desiderio?

Ti penso e non ti penso
cos'è l'immaginazione?

Ah (il mondo)
che assurdità!



Nulla esiste
eppure il tuo profumo
è nell'aria



Notte triste
guardo un mare senza riflessi

Ebbro di luce
puntuale
giungerà il giorno



Non ho molte parole da dirti
così diversi
tanto apparentemente distanti

Eppure mi scrivi...mi manchi
io sono con te
(per te)

Perciò se vuoi...
chiamami ancora amore



Cambiano i colori del cielo
cambiano i colori del mare
cambia anche la luna
diretta al cuore



Questo mare ci circonda
in un unico immenso abbraccio

Isolati noi ci amiamo
immensamente ci amiamo


Cesare Piscopo (Poetica-mente, 2014)

Tutti i diritti riservati


giovedì 18 settembre 2014

Paolo Vincenti. Cesare Piscopo, artista discreto e raffinato

Artista discreto e raffinato, Cesare Piscopo di Parabita unisce alla pittura e alla scultura la passione per la poesia . Figlio di Giuseppe, anch’egli artista molto noto ed amato da pubblico e critica, Cesare Piscopo, nato nel 1947, laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, già insegnante di Arte e Immagine nella Scuola Media Statale, ha compiuto viaggi di studio in molte città italiane ed europee. Cesare, da giovanissimo, ha contribuito agli scavi effettuati nella Grotta delle Veneri, a Parabita, sotto la guida del padre Giuseppe,  scopritore delle due famosissime statuette in osso risalenti al Paleolitico Superiore (Sulla presenza dell’uomo di Neanderthal nel territorio di Parabita, fin dal Paleolitico Medio,80.000-35.000 a.C., segnalo il recente opuscolo “Parabita antiche presenze” di Irene D’Antico, edito da Il Laboratorio 2013).
Come si può leggere nel suo accuratissimo blog on line ”Comunicare attraverso l’arte”,  la prima mostra personale di pittura (“Paesaggi del Salento”) di Cesare Piscopo risale al 1971 (Centro Studi e Scambi d’Arte Contemporanea l’Elicona, Lecce). La sua attività espositiva si è fatta più intensa a partire dal 1995, con mostre organizzate in varie città: Lecce, Locorotondo, Ostuni, Bari, Foggia, Firenze, Bologna, Milano, Borgo Maggiore (Repubblica di San Marino); numerosissime quelle in Salento, come: Omaggio a Oskar Kokoschka, Galleria Comunale di Casarano, 1998 - I miei mostri, Palazzo D’Elia,Casarano,1999 - C’era una volta il mare, Museo Pietro Cavoti – Galatina, 2009, ecc. In ambito scolastico, ha collaborato con la Scuola alla pubblicazione di  alcuni libri aventi come scopo la valorizzazione dei beni artistici e culturali del territorio. Nel 2008 ha ricevuto il Riconoscimento d’Onore “Il Sallentino” (Settimana della Cultura Salentina ed Euromediterranea-Lecce). Le sue opere sono esposte in varie collezioni pubbliche e private.
Nel suo piccolo laboratorio nel centro storico di Parabita, con la silenziosa ma preziosa guida dello stesso autore, ammiro le opere di Piscopo, ed è come un tuffo in un mare di colore: il colore soprattutto, fra disegni a tempera e inchiostro,  collages, olii, acrilici, ma anche il mare, principale fonte di ispirazione e oggetto della sua ricerca pittorica; mi immergo in un universo multiforme che ha nel cromatismo dei suoi voluttuosi gialli, rossi, blu e arancio il punto forte.  Chiaro che il genere pittorico nel quale Piscopo viene convenzionalmente inserito sia l’Espressionismo. Ma la calda cromia delle sue tele conferisce all’autore una cifra stilistica personale  e rende il segno di Piscopo del tutto riconoscibile. ll suo antifigurativismo porta direttamente all’essenza delle cose come l’osservatore le percepisce, ed è tutta qui, infatti, la carica emozionale dei suoi dipinti, nella percezione di chi li guarda. I sui colori sembrano parlare all’inconscio. E d’altra parte, non è poi l’inconscio  il campo d’indagine privilegiato di quel movimento artistico, appunto l’Espressionismo, nato ai primi del Novecento in Francia con il fauvismo e in Germania con il gruppo Die Brücke? Le sue tele, con il loro valore polisemantico, accendono l’immaginazione di chi le ammira,  dandogli l’abbrivio per fantastici viaggi emozionali, solo a volersi fare trasportare dalla sua arte astratta e  del pari cogliere le numerose suggestioni e le associazioni di idee, insomma le corrispondenze, che essa offre. Oltre che con l’olio e la tempera e le altre tecniche succitate, Piscopo realizza con la tecnica mista. Il mare, dicevo,  e i paesaggi salentini occupano gran parte della produzione degli ultimi anni. Ci fa sapere Cesare Piscopo: “Scrivere una poesia o dipingere un paesaggio traendo ispirazione dal mare (e in genere dalla Natura), rappresenta per me una triplice esperienza: visiva emotiva intuitiva. Io tento di dare forma a questa mia esperienza, trasfigurando la realtà e rendendo il paesaggio un soggetto in grado di comunicare una particolare visione del mondo. Baudelaire ha scritto:’ Uomo libero, amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio, tu contempli la tua anima nell’infinito svolgersi dell’onda’. Il mare è anche la mia storia, la mia esperienza, un brano di me stesso: lo specchio della mia anima!”
Ma da artista alquanto versatile, Piscopo ha realizzato di tutto nel corso della sua fortunata carriera. Un altro ciclo pittorico degno di nota è quello delle figure umane.  Si tratta di “un viaggio all’interno dell’uomo, alla ricerca di quel  ‘lato nascosto’ della natura umana, a volte sconcertante ed imprevedibile, in cui si addensano le  disarmonie, le contraddizioni e la frammentarietà che caratterizzano il mondo in cui  viviamo.” Inoltre i collages, che sono costituiti da frammenti di disegni ed acrilico, a volte strappati, a volte sovrapposti,per rendere l’idea di un caos che regni informe e che è metafora della vita sbandata di questi anni frastagliati.
Da qualche tempo poi egli realizza delle piccole sculture antropomorfe in terracotta policroma. Alcune figure ricordano i graffiti rupestri dei primi insediamenti umani preistorici. A volte, a muovere la creatività di Piscopo non è il pennello ma la penna. E nascono così le sue raccolte poetiche. Egli ha pubblicato: Fili d’erba” (1996), “Dal profondo Sud” (1998),con Prefazione di Mario De Marco, “Il mare dell’amore” (2006), “Messaggi dal mare” (2007) e l’antologia “Sotto le silenziose nuvole un mare di pensieri” (2009),che è una summa della sua produzione precedente. Molte poesie inedite compaiono in questi ultimi anni sul suo blog e sul suo profilo facebook.
In occasione della mostra personale di pittura tenuta al Palazzo “Comi” di Lucugnano, dal 7 al 21 agosto 2005, venne pubblicato il libro “Cesare Piscopo. Il paesaggio – la luce della poesia”, a cura di Angela Serafino, edito da Il Raggio Verde con il contributo della Provincia di Lecce.  L’amore per la propria donna è la tematica che cementa quasi tutta la sua produzione poetica, che consta di componimenti brevi, di pochi versi, che con il loro detto occupano preferibilmente la parte centrale della pagina, lasciando al vuoto del resto della pagina il compito di comunicare il non detto attraverso il bianco immacolato che vi si dipana. Sono poesie brevi  nell’estensione (oligóstichos, secondo l’insegnamento di Callimaco e della poesia alessandrina) ma estremamente rifinite, di un lirismo delicato, soffuso eppure intenso.
L’altra tematica che lega insieme pittura e poesia in Piscopo è l’amore per il Salento, un amore forte, intenso, vibrante e incontrastato. Un amore che dà poesia  alle sue pennellate , che dà colore alle sue poesie. L’amore per il Salento, per il mare ed il cielo, spesso saldati insieme in un tutt’uno (la loro compenetrazione è talmente forte che curiosamente lo stesso Piscopo, nel sistemare una tela sul cavalletto ne sbaglia il verso e poi  la rigira), per l’architettura delle sue tipiche abitazioni rurali, per i suoi angoli nascosti,  i suoi ulivi e le sue pietre. Ma, i suoi, sono paesaggi dell’anima, ancora riconoscibili nelle tipiche volute dell’ambiente salentino, ma al tempo stesso appena accennati, frutto di una sua intima visione,  trasfigurati dalla sensibilità dell’artista che è astrattista un attimo dopo che paesaggista. I paesaggi  che sono nelle sue opere, quindi,  è come se offrissero soltanto lo spunto all’osservatore per andare oltre, per poi approfondire la visione. L’artista mira ad offrire suggestioni attraverso la disarticolazione dei campi visivi, il gioco dei pieni e dei vuoti, dei chiaroscuri, ed i contrasti fra opposti, e come lo stesso artista spiega: “Il mio punto di riferimento è la natura come vista attraverso una lente che dissolve le forme, svuotando le masse e, a volte, abbattendo ogni residuo mimetico.. affido al colore la liricità dei miei sentimenti…
La natura è colore; il colore crea: la forma e l’informe, la luce e l’oscurità, la profondità e la superficie, il pieno e il vuoto, l’essenza e la provvisorietà, armonie e disarmonie”.   Nell’informale egli realizza la propria idea del mondo, fra sogno e realtà, alfa e omega, edenica terra di sogno in certe sue visioni estatiche, e infernale guazzabuglio in altre di angoscia ed inquietudine. Un gioco di contrasti, insomma,  in cui la creatività dell’artista deflagra in una esplosione quasi mistica di rosa, neri, bianchi, marroni, in una commistione di reale ed irreale, finito ed infinito, che porta ad un dinamismo ardimentoso per gli occhi eppure  estatico per lo spirito, inquieto eppure ossimoricamente disarmante, comunque coinvolgente.
Ma lasciamo che a parlare sia lo stesso artista: “Nella mia produzione pittorica sono interessato soprattutto a dare ‘forma’ ad un contenuto essenziale della Natura (il fondo primitivo da cui hanno origine esseri e cose), in una sorta di panica immedesimazione. In sostanza io miro ad esprimere, in strutture vaghe ed allusive, le emozioni suscitate dagli aspetti naturali, sostituendo alla rappresentazione diretta e ben leggibile del motivo una sua emblematica, liberissima rievocazione. Nelle mie composizioni il colore ha valore di spirito e materia al tempo stesso. Esso, oltre a trasmettere emozioni e sensazioni, ha una molteplice funzione: sono soprattutto le variazioni cromatiche a suggerire le forme (indeterminate), lo spazio (in espansione), il movimento (vitalità) e l’intensità della luce (che raggiunge nel bianco valori assoluti).”
Sulla produzione pittorica e poetica di Cesare Piscopo, hanno scritto, fra gli altri:  Giorgio Barba, Toti Carpentieri, Giancarlo Colella, Rocco Coronese, Vittoria Corti, Nicola G. De Donno, Mario De Marco, Antonietta Fulvio, Luigi Fontana, Massimo Guastella, Alessandro Laporta,Cesare Padovani,Giusy Petracca, Marina Pizzarelli, Raffaele Polo, Maria Pia Romano, Aldo Vallone, Giancarlo Vallone, Pompea Vergaro.  Così l’incontro con Cesare Piscopo, compiuta la mia personale iniziazione al suo m(ag)istero  artistico, e con gli occhi abbarbagliati da quelle esplosioni luminescenti, termina in spontaneità e semplicità, proprio come era iniziato.
Paolo Vincenti

lunedì 7 aprile 2014

ENZO PETRINI. Come leggere per comprendere



In passato il problema della lettura è stato considerato a lungo un problema d’élite: i più si accontentavano di conoscenze elementari e rimanevano come Renzo Tramaglino che sapeva leggere un poco che però non era abbastanza, mentre i meno per l’educazione che ricevevano e l’ambiente in cui vivevano finivano per considerare la lettura una scelta, una elevazione, una conquista personale con l’aiuto di accurati itinerari scolastici e durante quell’otium (o tempo libero) dilettevole e ricreativo che veniva distinto e contrapposto rispetto al negotium (occupazione) della politica, degli affari, dell’amministrare terre e del combattere. Anche persone che non erano addette ai lavori in modo professionale diventavano, per hobby si direbbe oggi, per curiosità e passione di ricerca veri “topi di biblioteca”, scopritori e collezionisti eruditi, custodi gelosi di qualunque scritto autografo o stampato.
Il leggere era un impegno meditativo, col fine di un godimento estetico o di una elevazione contemplativa, oppure anche di semplice trattenimento ricreativo come avveniva nelle letture familiari e nelle veglie invernali contadine nelle stalle, dove un lettore-dicitore, un lettore-narratore muoveva davanti all’immagine dei piccoli i personaggi di fiabe e novelle e dava agli adulti avventure di cavalieri, storie d’amore e di miracoli.
L’informazione corrente rimaneva quasi soltanto orale, le notizie che non diffondevano i banditori accompagnandole con squilli di tromba e rulli di tamburo, giungevano da mercanti e viaggiatori, arrivavano di tanto in tanto come le fiere e i mercati. I libri rimanevano pochi e invecchiavano lentamente: non aveva importanza il tempo impiegato a leggere, a rileggere, quasi centellinando fino a ritenere il testo a memoria. C’era chi leggeva il Tasso, e ancora il Tasso e sempre il Tasso per tutta la vita.
Oggi invece le situazioni sono cambiate, ha preso il sopravvento l’informazione e in notevole maggioranza i materiali di lettura sono diventati un genere di consumo individuale. Albi a fumetti, fotoracconti, gialli sono passatempi comprati con la stessa indifferenza con cui si acquista un pacchetto di sigarette. Anche i quotidiani, i romanzi d’autori alla moda quando sono stati guardati, o sfogliati, o scorsi, hanno fatto il loro servizio, sono stati consumati, e si può dimenticarsene, lasciarli sul sedile di un treno o di un’autobus, buttarli nel cestino dei rifiuti. Chi li ha “consumati”, ci abbia trovato soddisfazione oppure no, non ha da riferire, da riassumere, da confrontare: ha usato qualche cosa che può ritrovare e riavere quando ne abbia voglia, con poca spesa e nessuna fatica, senza curarsi spesso di conoscere di più sull’autore che ha scritto e di ricordare il nome del disegnatore che ha illustrato, fidandosi nella scelta del richiamo che gli viene dalla copertina.
Altri libri però impongono di per sé un senso di rispetto, un atteggiamento conservativo, fanno ancora una certa soggezione, se non altro perché richiedono un maggior impegno, e non vengono buttati via, anzi di tanto in tanto vengono ripresi, riletti, più precisamente intesi. Ogni libro ha un suo itinerario: o siamo capaci di percorrerlo insieme con chi l’ha scritto e con chi l’ha illustrato, oppure perdiamo la ruota, ci attardiamo, abbandoniamo senza profittare quanto sarebbe possibile con soddisfazione e con piacere.
Sono evidentemente diversi i gradi del “saper leggere”, dapprima elementare abilità strumentale, poi abilità esperta di momenti e materiali di lettura diversi di progressiva difficoltà d’incontro e infine una vera e propria arte del leggere che ciascuno può affinare via via.
Per  imparare quest’arte “si è sempre consigliato, da che mondo è mondo, ed esistono i libri, a leggere piano, e, se occorre, a rileggere, sempre, fino all’ultima pagina, adagio, lentissimamente…
“Vi sono dei libri, tuttavia, - diceva Renzo Frattarolo – che non possono essere letti adagio, o che non sopportano una lenta lettura, ma son quelli che non bisognerebbe leggere affatto. Primo beneficio della lettura lenta è che essa sa perfettamente distinguere tra il libro da leggere e quello che è scritto per non essere mai letto – Leggere, dunque, non ci si stanchi di insistere, senza fretta, con meditazione. E’ un principio essenziale”.
Tuttavia, dopo recenti studi sui movimenti oculari e sulla psicologia dell’apprendimento, viene il dubbio che leggere lentamente non sia sufficiente per una buona comprensione; altri fattori influiscono sulla riuscita e la produttività nella lettura. L’idea che la velocità porti necessariamente all’inesattezza e che i lettori lenti siano i migliori pare ormai da abbandonare, anche perché non è facile tenere due diversi ritmi di lettura, una per le opere letterarie e scientifiche l’altra per opuscoli informativi, riviste, giornali.
Inoltre non sono proprio ben segnati i confini tra opere da “leggere lentamente”, perché collocate nelle alte latitudini del pensiero o dell’arte ed opere da consumar rapidamente. MacLuhan ci ricorda che tutti i classici all’origine erano dei passatempi: “il compito educativo non è soltanto quello di fornire i mezzi fondamentali per comprendere, ma anche di sviluppare con la comune esperienza sociale la capacità di distinguere e di giudicare”. Inoltre coordinare e distinguere le notizie quotidiane è segno di educazione. E’ errato supporre che ci sia una differenza fondamentale tra educazione e passatempo, anche perché qualunque cosa dia diletto, ha un’efficacia educativa molto maggiore.
Leggere per obbligo, scolastico o professionale, non è quasi mai divertente, e non di rado i libri vengono così in uggia che finito il compito o il lavoro si mettono da una parte e non si prendono più in mano.
Ci sono però anche le eccezioni: insegnanti e bibliotecari che fanno scattare le molle dell’interesse, del diletto, della curiosità, del gusto e allora la lettura va ad occupare uno spazio notevole anche del tempo libero di una persona.
Comunque, leggere impegna sempre, per apprendere e per gustare, l’attenzione, la riflessione, la memoria, per richiamo e confronto di diverse letture, l’abituale esercizio, accompagnato quando la lettura è anche studio e ricerca da osservazioni e annotazioni.
Regola fondamentale in ogni caso è prendere un libro con un atteggiamento di attesa, con un impegno di scoperta, con la volontà di trovare un contatto con qualunque testo di poesia o di prosa, di scienza o di divulgazione ci si trovi dinanzi.
Ogni scritto, ma in particolare un libro, è come una miniera da esplorare, come uno spartito da tradurre in suoni, come una ideografia da sviluppare in immagini, da raccogliere in idee.
Questo è appunto il verbo da usare: raccogliere, scegliere nella comunicazione di alto valore o di comune discorso che una pagina ha in sé, cercare il messaggio sublime o semplice che ogni libro può custodire.
A ciò si giunge con l’abitudine della lettura e con un atteggiamento critico, anche quando si legge per passatempo. Gran parte delle esperienze che un singolo uomo non può fare direttamente è permessa dai libri: a saperli leggere è come se quelle esperienze siano vissute: la persona si arricchisce, la dimensione culturale si allarga. Una lettura, un libro è una proposta: si tratta di accettarla o respingerla, ma per poterlo fare bisogna prima comprenderla, parteciparla, farla nostra.

Enzo Petrini

lunedì 2 settembre 2013

A CESARE PISCOPO. Poesie di Mariapia Giulivo, Patrizia Prete, Luciano Provenzano.







richiamo rosso caldo scontornato
un magico Salento sussurrato

cuore di terra aspra e di sole
sangue che stilla colore

la tela è sosta fuga infinito
non ha limiti è concetto ardito

idea che trascende la luce
corre tra filari assolati

dove il mare è concerto
intenso salato lontano

io sento rosso e vivo - il richiamo

Mariapia Giulivo





D'ombra sembra questo mare
e non di acqua solo e sale
è fatta la sua trama,
ma di cupo e chiaro odore,
di luce e di sapore,
di vite e mani e strati di colore,
di dolore e di splendore,
di attese e di scoscese nubi e
onde, è fatto questo mare.

Patrizia Prete






Quando ti tuffi nel mare dei tuoi quadri
trai colori dal fondo a piene mani
e l’azzurro del mattino si affastella
col vermiglio inabissato del tramonto

L’argine di scogliera non trattiene
energia in vortice
che spruzza
un riflesso argenteo nell’occhio

Sulle spalle del Ciolo è addensata
la vastità di ogni possibile oltre
ma solo alzarsi al cielo giunge
ad aprire luce

Visioni in vetrina trasposte
nel fiondare del parto sulla tela
ardimento di un accumulo che
apre
sentieri nuovi nel sentire e dare.

Luciano Provenzano  







domenica 30 giugno 2013

Cesare Piscopo. Il mare dell'amore









Il mare è
un riflesso ondulato
del cielo
e la spiaggia
un nido di messaggi

Parlano ancora di te
le viole profumate?





Appare sul mare la luna
La notte dissolve una luce riflessa 
e smorza l’eco di una voce che urla
TI AMOOOOOOOOOOOOOOOOOO





Molto ci unisce
poco ci divide

Se fissandoci negli occhi
entrambi avanziamo
annulleremo il vuoto
e i nostri corpi convergeranno
in un piccolo grande bacio d’amore

 


 
Ti porterò al mare
di notte

Osserveremo onde silenziose

Poserò le mie mani
sui tuoi fianchi
sfiorerò i tuoi capelli
leggeri

Saremo acqua e roccia e
nuvole sovrapposte

Poi guardando nulla
penseremo a nulla
e d’amore ci ubriacheremo





Il tuo corpo riflette la bellezza
dell’anima

Armoniosa sintesi tesa ad arco

Sognare di esser freccia attraversare
spazi illimitati

Cavalcare nuvole contemplando un mare
non d’acqua né d’oro
ma come te soltanto d’amare






I tuoi occhi
battiti d’ali
profondità terrestri
infiniti orizzonti

Proteggono da sguardi indiscreti
pensieri ardenti

Abbattono ogni residuo
di indecisione

Io mi faccio fiore
roccia
e poi acqua di mare

Soltanto per te
Solo per amore






Se domando cos’è il mare
tu mi risponderai
il mare è
spirito
libertà
infinito
amore

Se chiedo cosa nasconde il mare
tu mi dirai
forse nulla
tutto
chissà

La verità





Nulla vi è all’orizzonte
che non evochi qualcosa di te

La bianca distesa di nuvole
il tuo soffice sorriso
le onde del mare
il loro ritmico vagare
il suono melodioso
il tuo corpo sensuale

Frazioni di tempo
grovigli intensi e
passioni ardenti





Tutto tace
mentre ascolto il mare
e i chiassosi tumulti del mio cuore

Direpensarefare
esistono solo in un senso

Io ti voglio
io ti penso





Attimo dopo attimo
l’inafferrabile presente
Ho smarrito la ragione
vivendo
o forse ho ritrovato amando
la ragione di vivere
Arde di una possibile armonia
un desiderio struggente





Ti amo fino al punto
di scambiare i tuoi silenzi
per messaggi d’amore

Sospesa come foglia d’autunno
ad un pallido sole
Distesa come sirenetta
tra le docili onde del mare
Tu che abiti la mente
e divori il mio cuore
Dove sei anima mia?





Cerco una donna
che mi faccia innamorare
Una musa
per la mia ispirazione
Cerco una donna d’amare
Amare significa vivere?
Cerco una donna
che mi faccia capire
la realtà delle cose e
che mi sappia restituire
la bellezza nascosta del mondo
Cerco una donna
da venerare
Cerco una donna
da pensare
a cui possa naturalmente e
semplicemente dire
ti amo







Cesare Piscopo (dalla raccolta: Il mare dell'amore-2006)
Tutti i diritti riservati




martedì 11 giugno 2013

Vicenzo Ciardo. Appunti sulla pittura meridionale






Gli artisti del Meridione sono stati in genere più guardinghi nei confronti degli indirizzi di avanguardia e questo può anche spiegare la lentezza, o ritardo, nei movimenti della pittura, da Napoli in giù, nell’ultimo cinquantennio. A ben guardare ciò ha una sua logica. Se ci soffermiamo a considerare il corso della pittura napoletana dal Seicento in poi, un dato costante si pone subito alla nostra attenzione. Cioè il persistere di una sentita adesione alle suggestioni della natura, che specialmente nella pittura di paese trovò nel passato le sue espressioni più felici…Dal Seicento ad oggi questo ideale legame dell’artista col mondo della natura è stato sempre presente ed attivo, salvo la parentesi dell’influenza di forme straniere che, per poco, ne modificarono il corso.
E’ significativo che siano sempre i valori poetici della vita e della realtà a stimolare le ispirazioni degli artisti meridionali, a sollecitarli nei momenti di crisi e ristabilire i legami col proprio passato.

Cominciare col considerare la realtà non più un punto di arrivo, bensì necessario alimento di una visione il più possibile affrancata dalla servitù del vero.

Vincenzo Ciardo (Gagliano del Capo, 1894 - 1970)