Artista discreto e raffinato, Cesare Piscopo di Parabita unisce alla pittura e alla scultura la passione per la poesia . Figlio di Giuseppe, anch’egli artista molto noto ed amato da pubblico e critica, Cesare Piscopo, nato nel 1947, laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, già insegnante di Arte e Immagine nella Scuola Media Statale, ha compiuto viaggi di studio in molte città italiane ed europee. Cesare, da giovanissimo, ha contribuito agli scavi effettuati nella Grotta delle Veneri, a Parabita, sotto la guida del padre Giuseppe, scopritore delle due famosissime statuette in osso risalenti al Paleolitico Superiore (Sulla presenza dell’uomo di Neanderthal nel territorio di Parabita, fin dal Paleolitico Medio,80.000-35.000 a.C., segnalo il recente opuscolo “Parabita antiche presenze” di Irene D’Antico, edito da Il Laboratorio 2013).
Come si può leggere nel suo accuratissimo blog on line ”Comunicare attraverso l’arte”, la prima mostra personale di pittura (“Paesaggi del Salento”) di Cesare Piscopo risale al 1971 (Centro Studi e Scambi d’Arte Contemporanea l’Elicona, Lecce). La sua attività espositiva si è fatta più intensa a partire dal 1995, con mostre organizzate in varie città: Lecce, Locorotondo, Ostuni, Bari, Foggia, Firenze, Bologna, Milano, Borgo Maggiore (Repubblica di San Marino); numerosissime quelle in Salento, come: Omaggio a Oskar Kokoschka, Galleria Comunale di Casarano, 1998 - I miei mostri, Palazzo D’Elia,Casarano,1999 - C’era una volta il mare, Museo Pietro Cavoti – Galatina, 2009, ecc. In ambito scolastico, ha collaborato con la Scuola alla pubblicazione di alcuni libri aventi come scopo la valorizzazione dei beni artistici e culturali del territorio. Nel 2008 ha ricevuto il Riconoscimento d’Onore “Il Sallentino” (Settimana della Cultura Salentina ed Euromediterranea-Lecce). Le sue opere sono esposte in varie collezioni pubbliche e private.
Nel suo piccolo laboratorio nel centro storico di Parabita, con la silenziosa ma preziosa guida dello stesso autore, ammiro le opere di Piscopo, ed è come un tuffo in un mare di colore: il colore soprattutto, fra disegni a tempera e inchiostro, collages, olii, acrilici, ma anche il mare, principale fonte di ispirazione e oggetto della sua ricerca pittorica; mi immergo in un universo multiforme che ha nel cromatismo dei suoi voluttuosi gialli, rossi, blu e arancio il punto forte. Chiaro che il genere pittorico nel quale Piscopo viene convenzionalmente inserito sia l’Espressionismo. Ma la calda cromia delle sue tele conferisce all’autore una cifra stilistica personale e rende il segno di Piscopo del tutto riconoscibile. ll suo antifigurativismo porta direttamente all’essenza delle cose come l’osservatore le percepisce, ed è tutta qui, infatti, la carica emozionale dei suoi dipinti, nella percezione di chi li guarda. I sui colori sembrano parlare all’inconscio. E d’altra parte, non è poi l’inconscio il campo d’indagine privilegiato di quel movimento artistico, appunto l’Espressionismo, nato ai primi del Novecento in Francia con il fauvismo e in Germania con il gruppo Die Brücke? Le sue tele, con il loro valore polisemantico, accendono l’immaginazione di chi le ammira, dandogli l’abbrivio per fantastici viaggi emozionali, solo a volersi fare trasportare dalla sua arte astratta e del pari cogliere le numerose suggestioni e le associazioni di idee, insomma le corrispondenze, che essa offre. Oltre che con l’olio e la tempera e le altre tecniche succitate, Piscopo realizza con la tecnica mista. Il mare, dicevo, e i paesaggi salentini occupano gran parte della produzione degli ultimi anni. Ci fa sapere Cesare Piscopo: “Scrivere una poesia o dipingere un paesaggio traendo ispirazione dal mare (e in genere dalla Natura), rappresenta per me una triplice esperienza: visiva emotiva intuitiva. Io tento di dare forma a questa mia esperienza, trasfigurando la realtà e rendendo il paesaggio un soggetto in grado di comunicare una particolare visione del mondo. Baudelaire ha scritto:’ Uomo libero, amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio, tu contempli la tua anima nell’infinito svolgersi dell’onda’. Il mare è anche la mia storia, la mia esperienza, un brano di me stesso: lo specchio della mia anima!”
Ma da artista alquanto versatile, Piscopo ha realizzato di tutto nel corso della sua fortunata carriera. Un altro ciclo pittorico degno di nota è quello delle figure umane. Si tratta di “un viaggio all’interno dell’uomo, alla ricerca di quel ‘lato nascosto’ della natura umana, a volte sconcertante ed imprevedibile, in cui si addensano le disarmonie, le contraddizioni e la frammentarietà che caratterizzano il mondo in cui viviamo.” Inoltre i collages, che sono costituiti da frammenti di disegni ed acrilico, a volte strappati, a volte sovrapposti,per rendere l’idea di un caos che regni informe e che è metafora della vita sbandata di questi anni frastagliati.
Da qualche tempo poi egli realizza delle piccole sculture antropomorfe in terracotta policroma. Alcune figure ricordano i graffiti rupestri dei primi insediamenti umani preistorici. A volte, a muovere la creatività di Piscopo non è il pennello ma la penna. E nascono così le sue raccolte poetiche. Egli ha pubblicato: Fili d’erba” (1996), “Dal profondo Sud” (1998),con Prefazione di Mario De Marco, “Il mare dell’amore” (2006), “Messaggi dal mare” (2007) e l’antologia “Sotto le silenziose nuvole un mare di pensieri” (2009),che è una summa della sua produzione precedente. Molte poesie inedite compaiono in questi ultimi anni sul suo blog e sul suo profilo facebook.
In occasione della mostra personale di pittura tenuta al Palazzo “Comi” di Lucugnano, dal 7 al 21 agosto 2005, venne pubblicato il libro “Cesare Piscopo. Il paesaggio – la luce della poesia”, a cura di Angela Serafino, edito da Il Raggio Verde con il contributo della Provincia di Lecce. L’amore per la propria donna è la tematica che cementa quasi tutta la sua produzione poetica, che consta di componimenti brevi, di pochi versi, che con il loro detto occupano preferibilmente la parte centrale della pagina, lasciando al vuoto del resto della pagina il compito di comunicare il non detto attraverso il bianco immacolato che vi si dipana. Sono poesie brevi nell’estensione (oligóstichos, secondo l’insegnamento di Callimaco e della poesia alessandrina) ma estremamente rifinite, di un lirismo delicato, soffuso eppure intenso.
L’altra tematica che lega insieme pittura e poesia in Piscopo è l’amore per il Salento, un amore forte, intenso, vibrante e incontrastato. Un amore che dà poesia alle sue pennellate , che dà colore alle sue poesie. L’amore per il Salento, per il mare ed il cielo, spesso saldati insieme in un tutt’uno (la loro compenetrazione è talmente forte che curiosamente lo stesso Piscopo, nel sistemare una tela sul cavalletto ne sbaglia il verso e poi la rigira), per l’architettura delle sue tipiche abitazioni rurali, per i suoi angoli nascosti, i suoi ulivi e le sue pietre. Ma, i suoi, sono paesaggi dell’anima, ancora riconoscibili nelle tipiche volute dell’ambiente salentino, ma al tempo stesso appena accennati, frutto di una sua intima visione, trasfigurati dalla sensibilità dell’artista che è astrattista un attimo dopo che paesaggista. I paesaggi che sono nelle sue opere, quindi, è come se offrissero soltanto lo spunto all’osservatore per andare oltre, per poi approfondire la visione. L’artista mira ad offrire suggestioni attraverso la disarticolazione dei campi visivi, il gioco dei pieni e dei vuoti, dei chiaroscuri, ed i contrasti fra opposti, e come lo stesso artista spiega: “Il mio punto di riferimento è la natura come vista attraverso una lente che dissolve le forme, svuotando le masse e, a volte, abbattendo ogni residuo mimetico.. affido al colore la liricità dei miei sentimenti…
La natura è colore; il colore crea: la forma e l’informe, la luce e l’oscurità, la profondità e la superficie, il pieno e il vuoto, l’essenza e la provvisorietà, armonie e disarmonie”. Nell’informale egli realizza la propria idea del mondo, fra sogno e realtà, alfa e omega, edenica terra di sogno in certe sue visioni estatiche, e infernale guazzabuglio in altre di angoscia ed inquietudine. Un gioco di contrasti, insomma, in cui la creatività dell’artista deflagra in una esplosione quasi mistica di rosa, neri, bianchi, marroni, in una commistione di reale ed irreale, finito ed infinito, che porta ad un dinamismo ardimentoso per gli occhi eppure estatico per lo spirito, inquieto eppure ossimoricamente disarmante, comunque coinvolgente.
Ma lasciamo che a parlare sia lo stesso artista: “Nella mia produzione pittorica sono interessato soprattutto a dare ‘forma’ ad un contenuto essenziale della Natura (il fondo primitivo da cui hanno origine esseri e cose), in una sorta di panica immedesimazione. In sostanza io miro ad esprimere, in strutture vaghe ed allusive, le emozioni suscitate dagli aspetti naturali, sostituendo alla rappresentazione diretta e ben leggibile del motivo una sua emblematica, liberissima rievocazione. Nelle mie composizioni il colore ha valore di spirito e materia al tempo stesso. Esso, oltre a trasmettere emozioni e sensazioni, ha una molteplice funzione: sono soprattutto le variazioni cromatiche a suggerire le forme (indeterminate), lo spazio (in espansione), il movimento (vitalità) e l’intensità della luce (che raggiunge nel bianco valori assoluti).”
Sulla produzione pittorica e poetica di Cesare Piscopo, hanno scritto, fra gli altri: Giorgio Barba, Toti Carpentieri, Giancarlo Colella, Rocco Coronese, Vittoria Corti, Nicola G. De Donno, Mario De Marco, Antonietta Fulvio, Luigi Fontana, Massimo Guastella, Alessandro Laporta,Cesare Padovani,Giusy Petracca, Marina Pizzarelli, Raffaele Polo, Maria Pia Romano, Aldo Vallone, Giancarlo Vallone, Pompea Vergaro. Così l’incontro con Cesare Piscopo, compiuta la mia personale iniziazione al suo m(ag)istero artistico, e con gli occhi abbarbagliati da quelle esplosioni luminescenti, termina in spontaneità e semplicità, proprio come era iniziato.
Paolo Vincenti
Paolo Vincenti